Corriere della Sera, 14 ottobre 2023
La Roma di Dago
La scena si apre sul Cupolone di notte. «Roma, da sempre, ha una sola certezza, unica e irremovibile, un potere granitico, eterno come la città che lo contiene: il Vaticano – sostiene Roberto D’Agostino —. Non a caso La dolce vita di Fellini comincia con la statua del Cristo in volo sull’elicottero verso piazza San Pietro. Dalla politica arrivano a Dagospia soffiate di ogni tipo, e nessuno ha mai scoperto la fonte. Ma quando un alto prelato cominciò a tenere sul mio sito una rubrica sui segreti vaticani, i suoi lo beccarono dopo una settimana». E il caso di Emanuela Orlandi? «No, lì il Vaticano non c’entra nulla. È un delitto che semmai è stato usato per colpire il Vaticano».
Burini e marziani
«Roma è una città come la sedia elettrica è una sedia» è la sintesi del docu-film che D’Agostino e il critico cinematografico Marco Giusti porteranno alla Festa del Cinema di Roma. «Doveva intitolarsi “Roma santa e puttana”, ma non si può, perché poi Google censura a colpi di asterisco quella che considera una parolaccia – racconta D’Agostino —. Allora sarà “Roma santa e dannata”. Ma a me sarebbe piaciuto anche “Quando a Roma eravamo già froci”. Per dire che qui è già successo di tutto e di più, compresa la conquista della libertà sessuale quando altrove si viveva ancora sugli alberi. Tempo fa, è stata ritrovata nel sottosuolo del Palatino un’iscrizione greca che chiarisce l’inutilità di scoprire l’enigma della città di Totti e Andreotti: “Ho imparato che la via diritta è il labirinto”. E Fellini aggiungeva: “L’Urbe è un immenso cimitero brulicante di vita”. Per gli altri, i cosiddetti “burini”, è duro capire che gli abitanti dell’Urbe non sono i romani ma Raffaello, Caravaggio, Michelangelo, Bernini, Borromini, un Papa di qua, un Papa di là. Città Eterna che seppellisce tutti con una pernacchia, come aveva intuito Flaiano, con la metafora del marziano che atterra a Villa Borghese e dopo una settimana è già dimenticato».
Tra Virgilio e Bombolo
Il filo conduttore del film è un viaggio notturno sul Tevere. A bordo del barcone, D’Agostino e Giusti, «come Romolo e Remo, Dante e Virgilio, o come Tomas Milian e Bombolo». In mezzo i racconti dei protagonisti delle notti romane. Vladimir Luxuria svela i retroscena di “Muccassassina": «Quando entrai in Parlamento più di un onorevole mi avvicinò per sussurrarmi: ti prego, non dire che venivo nel vostro locale. Io lo tranquillizzavo: ma chi ti ha visto, stavi sempre nella dark room», la stanza scura dei peccati inconfessabili. Carlo Verdone rievoca un’avventura giovanile sulla Bentley decappottabile del suo amico – e futuro cognato – Christian De Sica: «Andammo a prendere una stupenda ragazza di 19 anni, vestita come un calciatore della Roma, con gli scarpini, i pantaloncini bianchi, la maglia giallorossa: era Monica Guerritore. La portammo al Number One. Ma lì lei trovò Alain Delon, e andò via con lui, senza dirci neppure ciao. E noi restammo lì, con Gigi Rizzi, Gianfranco Piacentini, e un ragazzo nudo che ballava ebbro su un tavolino, e ci gettava addosso noccioline e cubetti di ghiaccio: era Helmut Berger. Se è per questo – conclude Verdone – una volta, appena entrato al Kinky, mi arrivò in fronte un bicchiere, lanciato dal principe Alessandro Borghese che stava litigando con qualcuno. Dissi solo: riportateme a casa».
Number One, Kinky, Scarabocchio, Jackie O’, Notorious, Easy Going sono i locali degli anni 70 e 80, oltre ovviamente al Piper, dove il giovane D’Agostino incontra Loredana Bertè, Patty Pravo e Renato Zero, di cui il film rievoca una disavventura notturna: «Il post-discoteca consisteva nel salire nella 500 di un amico, dotata di mangiadischi, e girare senza meta per il centro di Roma. Scombussolata dal ritmo di “Satisfaction”, l’auto non rispettò l’incrocio di via Sicilia, alle spalle di via Veneto. Il crash fu pauroso, ancor di più il posto dove fu sbattuta la 500: in mezzo alle bare delle pompe funebri Scifoni, negozio dotato di ampie vetrate che andarono in frantumi. Con la testa rotta, il volto bucherellato di vetri, io e Renato fummo portati al Policlinico Umberto I. Io al reparto maschile, lui a quello femminile. Cominciai ad urlare che Renato aveva il pisello ma gli infermieri non potevano credere che quella creatura bellissima, magrissima, capelli lunghissimi e addobbata di una tutina di lurex fosse un ragazzo».
Un Papa in birreria
L’avvocato Giorgio Assumma rivela la fuga dalla Santa Sede del neo pontefice Karol Wojtyla, nostalgico di un boccale di birra, in compagnia del suo segretario polacco, ambedue in borghese: «La zingarata papale si complicò quando al ritorno le guardie svizzere non riconobbero il nuovo Papa – racconta Dago —. Mortificati, i due si recarono al Commissariato di Borgo, dove il segretario poteva vantare qualche amicizia. Al racconto, l’agente rimase perplesso e sfoderò l’eterno spirito romano: “Se sei tu il Papa, non hai le chiavi di casa? Ma che Papa sei?!?».
L’attrice Vera Gemma, figlia di Giuliano, racconta la scoperta di un sex club chiamato programmaticamente «Degrado». Massimo Ceccherini confessa le sue notti romane segnate dalla dissipazione, con una visita notturna nel salotto di Vittorio Sgarbi, tra quadri di commovente bellezza e invitate brasiliane. Ma il racconto più esilarante è quello del primo – e ultimo – Festival internazionale dei poeti di Castelporziano, cui Carlo Verdone accompagna un amico, aspirante scrittore.
È un happening straordinario che chiude l’Estate Romana di Renato Nicolini, l’Effimero che cambiò la capitale, in cui le parole di Verdone si mescolano ai filmati dell’epoca, un tourbillon di alto e basso, di Allen Ginsberg e poetastri, che termina con un assalto finale al palco per una distribuzione di pasta e fagioli: il palco crolla, metafora della fine di un’era, gli anni ‘70 della politica e dell’impegno, e dell’inizio degli anni ‘80. Un cambio di stagione che D’Agostino all’epoca colse in un libro intitolato non a caso «Come vivere – e bene – senza i comunisti». Meno noto è che lo stesso Dago sia stato il ghost writer di Moana Pozzi e del suo libro «La filosofia di Moana», quello in cui vengono assegnati i voti ai suoi tanti amanti (Grillo, De Crescenzo, Benigni, Arbore) compreso un generoso 7 e mezzo all’allora premier Bettino Craxi: «Moana era bellissima, ma del tutto priva di sensualità. Una statua».
Poi nella Roma del cinema e nella tv irrompe Silvio Berlusconi. Nel film il racconto è affidato a Carlo Vanzina: «Era il 1989, il Cavaliere aveva prodotto una serie, “Amori”, che coinvolgeva i più grandi sceneggiatori e registi. Per festeggiare li invitò a Palazzo Sacchetti, in via Giulia. Si alza Suso Cecchi D’Amico e dice: “Sia ben chiaro però che noi siamo contrari alle interruzioni pubblicitarie dei film”. Tutti quanti, Lina Wertmuller, Ugo Pirro, Nanni Loy, Mario Monicelli, Dino Risi, Luigi Magni annuiscono. Nel salone scende il gelo. Come è finita? Dopo due ore e molto champagne, Berlusconi gorgheggiava canzoni francesi, Confalonieri lo accompagnava al pianoforte, e dietro di loro Ugo Pirro e Lina Wertmuller e Nanni Loy cantavano agitando le manine. Come al piano-bar del Jackie ‘O...».
Dice D’Agostino che «a differenza dei vari potenti atterrati a Roma, Silvio Berlusconi è l’unico pendolare milanese che si è davvero romanizzato. L’unico a capire la logica del potere capitolino incarnato dal primo comandamento dell’andreottismo: i nemici non si combattono; si seducono, o si comprano. Gianni Agnelli si trovò meno a suo agio: quando accettò l’invito galante di Marina Ripa di Meana nella sua villa sull’Appia Antica, restò basito trovandola a letto con due artisti, Eliseo Mattiacci e Gino De Dominicis, e rinunciò: “Beh, siamo già in troppi”».
Funeral party
Il film mostra immagini di funerali illustri: Giulio Andreotti, Mario D’Urso, Angelo Rizzoli. «A Roma non c’è niente di più vivo di un funerale – racconta D’Agostino —. Un’occasione imperdibile per trasformare un evento tragico in un party. Al pari di un matrimonio, “er mortorio” diventa così un evento che rinsalda una élite di happy few, quei pochi fortunati che davanti a una bara si riconoscono parte di una rappresentazione che tiene tutti insieme: amici, nemici e tipi intermedi che vanno alle esequie anche senza aver mai conosciuto il caro estinto. Alla fine, commento generale: “Che funerale! Meglio di una festa...”».
«Sono arrivato alla conclusione che Dio si è inventato una città con il diavolo accanto. Una città ambivalente e capace di tutto, anche di trasformare Berlusconi in un premier, De Michelis in un ballerino, Renzi in uno statista, Valeria Marini in un’attrice – sorride D’Agostino —. Una città santa e dannata dove la più grande collezione di falli è custodita in Vaticano». Cioè? «A due passi dalla Cappella Sistina c’è una stanza che raccoglie in appositi schedari tutti quelli amputati a scopo di decenza alle statue di Roma antica, in un’ansia moralizzatrice che, riconosciamolo, non ha dato grandi risultati. Ma la vera perversione è il potere. Qui non esistono la destra e la sinistra; esiste solo il centrotavola».