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 2023  ottobre 13 Venerdì calendario

Le destre al potere

«Il popolo ha sempre ragione!». È dalla grande crisi finanziaria del 2008 che uno spettro s’aggira per l’Europa: il populismo. In questo quindicennio ha attraversato almeno 31 Paesi europei e in una decina è arrivato a governare; e oggi il vento sta soffiando forte a destra. Ultimo caso la Slovacchia, dove il filorusso Robert Fico ha conquistato per la terza volta il potere. Nell’area di destra, i partiti populisti, e i suoi figli naturali, i nazionalisti e sovranisti, sono più di una cinquantina: tutti contro la Ue, la Bce, il Fondo monetario, i migranti, gli accordi sul clima, l’aborto, la globalizzazione e la parità di genere. Poi ce ne sono una decina di sinistra, o difficilmente etichettabili.
Cos’è il populismo?
Il dato comune è quello di contrapporre il popolo, per definizione virtuoso, alle élite sempre e comunque corrotte. Intercetta le paure, il malcontento e le frustrazioni di molte opinioni pubbliche. Pesca soprattutto fra i giovani in difficoltà socioeconomica e con livello d’istruzione medio-basso, perlopiù maschi. Nel 1998 i populisti erano al governo di due soli Paesi, 20 anni dopo, governavano già undici Stati e 170 milioni di cittadini. Alle Europee 2024 molti di questi partiti saranno determinanti. Ma fino a che punto sono disposti a spingersi? E finora che cos’hanno fatto di tutto ciò che promettevano?
Più a destra della destra
Il 15 ottobre si vota per le politiche in Polonia e favorito è il partito Diritto e Giustizia (PiS), tornato al potere nel 2015 con Andrzej Duda. Ha il 35% dei voti e le sue principali battaglie sono contro l’aborto e i diritti Lgbt. La sua riforma per imbrigliare la magistratura è stata bocciata dalla Corte di giustizia europea. La guerra di Putin ha costretto la Polonia ad accogliere i «fratelli» ucraini. Un’apertura che ha provocato le proteste degli agricoltori, danneggiati dall’invasione del grano ucraino venduto sottocosto. E l’ascesa fino al 9% di Konfederacja, un partito più a destra del PiS, spinge Duda ad accontentare i contestatori, dando meno armi a Kiev. In Olanda, dopo 13 anni di centrodestra, le elezioni politiche del 22 novembre aprono la via al negazionismo climatico e alla lotta all’immigrazione del Bbb, il Movimento Civico-Contadino: fondato quattro anni fa, ha già incassato il 10%. Al suo fianco c’è il populista Partito per la Libertà di Geert Wilders, amico di Salvini, oggi al 10,8%.
Nazionalisti e sovranisti
In Francia, il Front National di Jean-Marie Le Pen nato negli anni ’70 ha cambiato nome. Nel 2018, la figlia Marine l’ha ribattezzato Rassemblement National. Ha mantenuto la linea xenofoba, ma per avere i voti moderati ha smesso di parlare di un’uscita dall’Ue e dall’euro. La svolta è servita: in pochi anni, Rn è passata dal 10,4 al 18,6%, con punte del 24. Determinanti per lei nella corsa all’Eliseo potrebbero essere i voti di Reconquête, il partito anti-immigrati che nel 2022 ha ottenuto il 7%. In Spagna è in ascesa il sovranismo neofranchista di Vox, nato nel 2013 e molto caro a Giorgia Meloni. Ma al voto di luglio, Vox non ha sfondato: molti gli rimproverano una politica troppo «di compromesso». Resta però il terzo partito. In Belgio, Vlaams Belang (Interesse fiammingo) rivendica l’indipendenza delle Fiandre, è ostile alla monarchia e chiede lo stop all’immigrazione. In Parlamento ha 18 seggi su 150. Da quando un sondaggio l’ha indicato come primo partito, il movimento ha abbracciato una linea più moderata: parla meno d’indipendenza e di no-vax. In Estonia alle ultime elezioni sono state punite le posizioni filorusse e antieuropeiste di Ekre. Il partito, entrato nella coalizione di governo, fiancheggiava apertamente Mosca e temeva l’invasione dei profughi ucraini «che portano l’Hiv». Ma a chiuderne l’esperienza è stato lo scandalo che ha travolto il premier russofono Jüri Ratas, accusato di corruzione assieme a un ministro di Ekre che prometteva «tolleranza zero sulla corruzione». In Slovenia, il premier nazionalista Janez Janša, detto «il piccolo Orbán», nel 2022 ha perso le elezioni. Gli avversari gli rimproverano l’accanimento sui giudici, e l’amicizia con Trump. Durante la presidenza slovena dell’Ue, le bordate all’Europa non hanno aiutato Janša. Anche se il suo SDS, al 23,5%, resta ancora il secondo partito sloveno.
Gli xenofobi
In Germania, l’AfD, antisemita e islamofobo, ha sfondato nel 2017 col 12,6%, diventando il terzo partito tedesco. Alle politiche del 2021 è sceso al 10%, ma rimane fortissimo nei Länder. Oggi i sondaggi lo danno al 21%. È il punto di riferimento di numerosi gruppuscoli come Pegida, organizzazione condannata per incendi alle moschee. Entrata al Bundestag, l’AfD ha sfumato qualche posizione: il principale candidato alle europee, Maximilian Krah, sostenitore dell’inutilità dell’Ue, ora riconosce che è necessario un coordinamento politico dell’Europa.
In Austria il nazionalista Partito della Libertà (FPÖ), dopo avere perso il governo a causa dello scandalo dei finanziamenti russi al partito, sembrava finito. Invece la xenofobia paga, e pure il no alle sanzioni a Mosca. Oggi l’FPÖ è tornato al potere in tre coalizioni locali. Nei sondaggi è dato al 29% e torna decisivo per una coalizione di governo. In Grecia i neonazisti di Alba Dorata, che nel 2014 erano diventati il terzo partito greco (9,3%) e chiedevano l’uscita dall’Ue, l’espulsione degli immigrati e l’abolizione dei sindacati, nel 2023 non hanno superato la soglia di sbarramento.
Il caso Gran Bretagna
Il risultato più disastroso è quello della Gran Bretagna. I nazionalisti dell’Ukip, nati nel 1993, chiedevano l’uscita dall’Ue. Diventati primo partito nel 2014, nel 2016 l’hanno ottenuta col referendum sulla Brexit. E oggi il risultato è evidente: in sei anni si sono succeduti cinque premier e la crescita del Pil inglese dei prossimi due anni sarà la peggiore fra le grandi economie mondiali. Farage ha ammesso che «la Brexit è stata un fallimento», e l’Ukip è precipitato dal 27,5 allo 0,1%.
Promesse non mantenute
In Finlandia i Finns (il Partito dei Veri Finlandesi) nel 2015 hanno ottenuto per la prima volta quattro ministri, ma l’esperienza si è conclusa con una scissione. I Finns oggi sono il secondo partito col 20% e sono appena tornati al governo. Nazionalisti e anti-immigrati chiedevano l’uscita da un’eurozona accusata di buttare soldi. Tornati al potere sono scesi a compromessi con gli alleati liberali di Kok: adesso va bene restare nella Ue, l’austerità, e pure l’ingresso della Finlandia nella Nato, a cui fino all’anno scorso si erano opposti. Fratelli d’Italia, radici neofasciste, nazionalisti, euroscettici, anti immigrati. Una volta al governo si è ammorbidito e Giorgia Meloni, scrive l’agenzia Reuters, «nonostante la retorica spesso infuocata, preferisce la cautela allo scontro, promuovendo lo status quo». Soffre però la concorrenza a destra della Lega, suo alleato.
In Svezia, i Democratici Svedesi, partito nazionalpopulista difendono «l’uniformità etnica svedese», sono contrari all’emancipazione femminile, anti Ue e fortemente antimusulmani. L’anno scorso – anche grazie alla forte campagna negazionista sul Covid – sono diventati il secondo partito svedese ed entrati col 20,5% nel governo. Hanno però abbandonato l’idea d’un referendum per uscire dalla Ue. Infine l’Ungheria: il partito Fidesz, liberale negli anni ’80, ha virato a destra fino a diventare nazionalista e anti-Ue. Dal 2018 il suo leader, Viktor Orbán, ha la maggioranza assoluta. Ha costruito il primo muro anti-immigrati d’Europa, ha ridotto le libertà di magistrati e cittadini, ha imbavagliato i media. Con la guerra, suo malgrado, ha accolto i profughi ucraini. Quando stava all’opposizione, si batteva per l’integrazione europea e accusava i socialisti al governo di fare affari con Putin e il suo gas. Oggi è lui, il miglior alleato di Putin in Europa.