il Giornale, 13 ottobre 2023
Vita e opere di Alfredo Cattabiani
Elaborare e mettere in opera una politica editoriale fuori dal «coro» negli anni ’70, non era una passeggiata di salute. La vita di Alfredo Cattabiani ne è la più limpida esemplificazione. Il «coro», ovviamente, è quello dell’egemonia culturale marxista-radical-progressista. Alfredo, senza timori reverenziali, gli andò contro, opponendogli una linea editoriale di segno opposto, impiantata sulla forza dei valori tradizionali, cattolici e laici. Questo suo testardo, coraggioso e preveggente lavoro editoriale gli costò un’ostilità diffusa, spesso aggressiva, da parte di esponenti di altissimo livello, gravitanti nella galassia della sinistra intellettuale.
La ricorrente accusa rivolta ad Alfredo aveva un unico obiettivo specifico: i libri da lui editati erano di destra. Ad esempio, Pier Paolo Pasolini si allarmò a tal punto da scrivere che «presentandosi sotto spoglie tradizionali, tale nuova cultura di destra ci costringe a inscenare una lotta antifascista così miserabilmente vecchia da sembrare un malinconico balletto di burattini». Di destra, pertanto, ma moderna, modernissima e proprio per questo pericolosissima. Il «poeta corsaro» individuava in Cattabiani l’attuatore «della più grande operazione culturale di destra che si sia mai avuta in Italia». Il critico letterario Walter Pedullà si spinse oltre, invocando la necessità di stendere un «cordone sanitario», necessario per contenere la pericolosità delle scelte editoriali di Alfredo. Il «papa laico» Umberto Eco (maestro indiscusso di tolleranza!) era sulla stessa linea d’onda.
Certo, erano gli anni ’70. Anni infuocati, gravidi di stolte quanto inutili contrapposizioni ideologiche. Ci si era «tanto armati» spesso non sapendo neppure il perché. Alfredo, uomo mite, curioso e laborioso, fu una vittima di quella che l’indimenticabile Enzo Bettiza ha chiamato l’«ombra rossa». Una nebulosa ammorbante, capace di sterilizzare la migliore tradizione intellettuale italiana, pronta a strozzare nella culla ogni minima e flebile voce fuori dal «coro». Ma perché Cattabiani finì stritolato solo per aver tentato di battere sentieri alternativi?
Tutto comincia all’università di Torino, tempio degli intellettuali neoilluministi, patria sacra dell’azionismo miscelato col pensiero di Gramsci e Gobetti. Frullato reso egemone da un marchio editoriale: Einaudi. Alfredo si laurea con una tesi su Joseph de Maistre. De Maistre? Il conte savoiardo reazionario e papista, il vero fondatore del fascismo, stando ad Isaiah Berlin! Norberto Bobbio (altro maestro indiscusso di tolleranza!) reagisce d’istinto, gettando in terra la tesi del laureando. Avrebbe dovuto capire, il giovane Alfredo, la musica di sottofondo. La capisce, certo, ma non l’asseconda. A suo avviso occorre altra musica, altri spartiti. Fonda le Edizioni dell’Albero e, insieme ad Augusto Del Noce ed Élemire Zolla, traccia un itinerario «impolitico» di autentico respiro intellettuale. A breve distanza viene chiamato a dirigere le Edizioni Borla. Dove affina l’intuizione originaria di pubblicare scrittori e pensatori tradizionalisti e conservatori, non solo cattolici. L’ottimo lavoro svolto lo porta nel 1969 a Milano, direttore editoriale della Rusconi.
Il percorso compiuto è stato rapido e fruttuoso. Ora ha tutti i mezzi necessari per pensare in grande. Pubblica, oltre alle opere di Del Noce e Zolla, Pavel Florenskij, Carlo Alianiello, Simone Weil, Mircea Eliade, Cristina Campo, Fausto Gianfranceschi, Giuseppe Prezzolini, Guido Ceronetti, René Guénon, Mario Pomilio, Rodolfo Quadrelli, Giacomo Noventa, Guido Morselli. E poi, su tutti, Tolkien. Il Signore degli Anelli! È questa la «pericolosa destra» da stritolare con una cintura di contenzione? Non scherziamo! Innanzitutto, se c’è una evidenza nelle linee editoriali di Cattabiani è la disorganicità. Se il Novecento andava decifrato attraverso gli occhiali laicisti del progressismo, Alfredo offriva, con i suoi libri un’alternativa, spirituali e tradizionalisti, montature e lenti diverse. Ecco la sua grande colpa.
Alla fine, nel 1979, alzò bandiera bianca, costretto ad abbandonare controvoglia la Rusconi. Si trasferì a Roma, vivendo di collaborazioni giornalistiche (il Giornale, Il Settimanale, Il Tempo, Prospettive nel mondo) e scrivendo libri bellissimi. Come ha osservato Marcello Veneziani, Alfredo venne cancellato molti anni prima che morisse. Un errore madornale. Purtroppo, sul suo lavoro era stato scagliato un macigno pesante. Una vera e propria pietra tombale: di destra. Ebbene, provate a scorrere il catalogo delle celebrate edizioni Adelphi. Vi troverete pubblicati moltissimi autori scoperti e lanciati da Alfredo. Certo, la prospettiva è assai diversa. Quella messa in vetrina da Cattabiani era una cultura tradizionalista essenzialmente cattolica; quella di Roberto Calasso, all’opposto, una cultura essenzialmente gnostica. Senza dimenticare Tolkien, diventato oggi un oggetto di culto (e di commercio) trasversale.
Lo scorcio conclusivo della vita di Alfredo Cattabiani non è stato esaltante. È sopravvissuto a fatica, con estrema dignità, sino alla fine. Non si è mai lamentato. Un editore di così chiaro valore non ha potuto esprimere sino in fondo le sue potenzialità. A impedirglielo è stato il conformismo della sinistra e il totale disinteresse della cultura cattolica, avviatasi di gran carriera verso il progressismo. Non a caso Alfredo pubblicò un denso saggio di Del Noce: Il cattocomunista. Radiografò l’esistente e indico anzitempo il processo di congiunzione di due filoni in apparenza alternativi, destinati a intrecciarsi per depotenziarsi uno nell’altro. Ebbe in cambio solo fastidi, rancori, cattiverie e oblio. In pochi lo ricordano, ma Alfredo è stato un gigante dell’editoria, al quale dobbiamo perenne gratitudine.