Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 12 Giovedì calendario

Intervista a Gabriella Pession

«Quando parli con Gabriella Pession ti viene da prendere il binocolo, dispiegare le vele nel mare delle sue inquietudini e dirle terra, terra. Ha vissuto negli Stati Uniti, dov’è nata, in Australia dove viveva un suo ex fidanzato, a Dublino che è la città di suo marito, l’attore Richard Floods di Grey’s Anatomy. La terra, ma chissà per quanto, è l’Italia, Roma, dov’è tornata. Suona un po’ come una «minaccia» per chi le vuole bene quando dice: «Ho cambiato 23 case in dieci anni».
L’attrice è quello che voleva fare?
«No, mi sarebbe piaciuto cantare, recitare è stato quasi un ripiego. Io nasco come atleta di pattinaggio artistico. Avevo il poster in camera di Katarina Witt, con lei era più arte che acrobazia, oggi è diventato un’altra cosa, circolano bambine russe impressionanti».
E poi?
«Poi a 14 anni ho avuto un incidente ai legamenti del piede sinistro. Mia nonna (un genio nata in una famiglia povera, una femminista ante litteram figlia di contadini toscani, ha avuto quattro lauree ad honorem) me l’aveva detto: questo pattinaggio diventerà un problema per te. Io ne ero ossessionata, dormivo con le gambe per fare la luna, una figura, quando stai sul filo esterno del pattino e il filo ti tiene in piedi. A 14 anni, in piena adolescenza, persi il sogno. Passai alla disciplina del precision skating, quella di gruppo. Ma sono competitiva, sono cresciuta nello sport individuale».
Un po’ come i singolaristi di tennis che passano al doppio.
«Il tennis, altra passione... Esatto».
È quando ha smesso che è diventata anoressica?
«No, era la difficoltà di trovare il mio posto nel mondo, una conseguenza dell’infortunio ma era più una depressione giovanile».
È andata in analisi?
«Sono una grande fan della psicologia. Analisi junghiana, ho studiato Erikson che era dentro la psicoanalisi infantile, Hoffman. Ho interpretato una psichiatra in tv. Ho abbracciato tutta l’introspezione, voglio capire il perché delle cose, ora continuo con una psicoterapeuta. Per venir fuori dal disagio mi è servito Hoffman e mi è servito Michael Jackson, la sua musica, sul palco dei Telegatti mi lanciai per abbracciarlo. Quando ho conosciuto Leonardo Pieraccioni che mi ha voluto in due film mi ha detto: ma eri tu quella matta che si è gettata all’inseguimento di Michael Jackson? Una truccatrice millantatrice mi disse che era amica del cantante a Los Angeles, presi l’aereo per conoscerlo. Non era vero niente. Così andai da mia nonna che viveva in Florida».
Lei è nata in America.
«Mamma incinta di me era lì. Intanto si separava da mio padre. Ho conosciuto mio padre a 4 anni. Ero innamorata di lui, era pianista, scultore, un intellettuale bellissimo, bruno con gli occhi blu. Mi manca quando mi faceva ascoltare i Notturni di Chopin. Aveva già due figli da un precedente legame e non si sentiva all’altezza, fuggiva dalle responsabilità. Non riusciva a tenere insieme le due famiglie. Mi ha dato il suo cognome a 8 anni, prima ero Gabriella Pellegrini. Papà è un enigma, su di lui ho scritto un soggetto con Anna Pavignano, l’ho fatto leggere a Willem Dafoe ma devo elaborare il testo, ci vuole tempo. Sarà il mio esordio come regista».
L’ha perdonato?
«Dal risentimento sono passata alla comprensione. I bambini capiscono dallo sguardo, da quello che non dici. Si era imbarcato in una mission impossibile».
La serie tv che sta scrivendo ha a che fare con questo?
«È la storia di una donna che a 40 anni compie un viaggio a ritroso per rendersi conto di perdonare e fare pace col proprio passato».
Come ha cominciato a recitare?
«I miei erano entrambi nella moda, mamma nelle pubbliche relazioni e papà tra le sue mille cose disegnava tessuti per le cravatte di Dior e Chanel. Feci una pubblicità, poi un provino per un film. Mi presero: amiche davvero, un piccolo progetto, avevo 18 anni. A Lina Wertmüller un produttore disse che gli ricordavo Mariangela Melato, mi ritrovai sul set di Ferdinando e Carolina».
Lei è percepita come attrice di fiction.
«Non mi interessa la percezione ma la sostanza. Sono il prodotto di quello che faccio. Sto preparando a teatro Hedda Gabler, ho lavorato tanto all’estero. Dopo il successo popolare nel 2005 con la fiction Capri, tutti mi chiamavano la fidanzatina italiana. Non ne potevo più, non ero io, detesto le etichette. Cambio spesso fisicamente, mi piace quando mi riconoscono per la voce».
Lei quando si è sentita una Capitana?
«Di recente, nei miei tre anni a Los Angeles, quando ho affrontato il tema di fermarmi. Ero in difficoltà con tutto quello che non sapevo gestire, quello è un non luogo, sospeso, le cose accadono al di fuori, se sei a Los Angeles devi per forza fare qualcosa sennò secondo la società di Hollywood fallisci. Ho fatto una grande serie tv, Those About to Die, dieci puntate per Amazon, di cui è protagonista Anthony Hopkins, sui giochi dell’antica Roma mentre il Colosseo è in costruzione. Io sono Antonia, una donna patrizia, spietata, manipolatrice. Ho preso le distanze da tutti e ho superato la paura. Ora il telecomando della mia vita l’ho in mano io».
Cosa pensa del consulente d’intimità sui set Usa?
«Lo propongono a chi pensa di averne bisogno, così ha un senso. Io non mi sono mai imbattuta in situazioni imbarazzanti. Sono contro i seni prostetici finti nelle scene d’amore, sono contro le quote rosa, sono per il talento e stop. Quando il Me Too diventa una moda, scevra del suo significato, rischia di perdere potenza. Il vero nemico della creatività è la paura».
Come ha conquistato questa libertà?
«Con la maternità. Mi ha dato un centro, trascendendo l’ego. Se lo tieni al guinzaglio ti aiuta, se lo liberi fa disastri. Mio figlio Giulio ha 8 anni, ne aveva 3 quando io e Richard ci siamo sposati, lui ci portava le fedi, nelle foto siamo noi tre e Giulio pensava che ci fossimo sposati in tre. Gli ho trasmesso la passione per il tennis, gioca tutti i giorni. Sono felice quando perde, scuola di vita, disciplina, sacrificio. Anch’io ho perso nei provini, Paolo Sorrentino dopo Le conseguenze dell’amore mi disse: ho una promessa con te che devo mantenere».
Suo marito è l’attore Richard Flood di Grey’s Anatomy.
«Ci siamo conosciuti sul set di Crossing Lines. Se litighiamo? Certo. Le liti più frequenti sono quando piove e non prende l’ombrello. È irlandese».
Lei che recita tra l’Italia e l’estero che cosa pensa della sortita di Favino, a proposito di Adam Driver nei panni di Enzo Ferrari, sugli attori americani che fanno icone italiane?
«Adam Driver è un attore meraviglioso, però lo ricordo con Lady Gaga in Gucci e non riusciva a dire grazie: diceva grazi. Non si poteva sentire! Meglio non scimmiottare l’italiano fatto male se reciti in inglese. Detto questo, le regole del mercato esistono, il cinema è anche un mercato. Ha ragione Sofia Coppola: la scelta di un attore è del regista. Ho visto che Carlo Verdone è d’accordo con lei».
Come si descriverebbe?
«Credo di essere una persona in movimento. Dipende dalle stagioni della vita. Sono empatica, questo sì. E non cambierei un giorno passato con la maturità che sto vivendo».