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 2023  ottobre 12 Giovedì calendario

Intervista a Vittorino Andreoli

«La società in cui vivo non mi piace molto e non potendola cambiare cerco di aiutare chi soffre. Per questo a 83 anni non rinuncio ad occuparmi affettuosamente di matti». Vittorino Andreoli, ex direttore del Dipartimento di Psichiatria di Verona-Soave, ha scritto un centinaio di libri tra cui Il Gesù di tutti, che viene ripubblicato ora da Terra Santa.
Nel saggio sull’uomo di Nazareth racconta la sua parabola da credente diciottenne a chi crede di non credere, com’è andata?
«I miei genitori e nonni praticavano la religione cristiana e da bambino andavo a scuola per educarmi alla vita sulla Terra e in Chiesa per quella in cielo. Frequentavo l’Azione, ma volevo leggere Marx e Lenin. Il vescovo era contrario, così lasciai per studiare Medicina. Dall’impegno religioso passai alla professione sociale. Mi chiesi cosa vuol dire credere e capii che significa avere un’esperienza di Dio, come il monaco in convento. E Io non l’ho avuta».
Dieci anni fa ha però sentito il bisogno di riconfrontarsi con Gesù scrivendo un libro.
«Nei Vangeli viene chiamato Vero uomo e vero Dio, mi sono occupato del primo. L’ho fatto perché racchiude i principi dell’umano. Sono stato definito lo psichiatra dei casi estremi, dalla schizofrenia ai crimini efferati come quelli di Donato Bilancio, e all’interno di questi considero straordinaria una figura come Gesù».
Gesù affascinante come un serial killer?
«In un certo senso sì, anche se mi piacerebbe di più che dicesse come uno schizofrenico o uno dei miei matti, per esempio Carlo Zinelli che è diventato un grande pittore».
Nel libro distingue il sacro dal religioso, che differenza c’è?
«Il sacro è la capacità di comprendere il non razionale tanto che l’antropologo Rudolf Otto ne parla come di una categoria della mente. Potremmo dire che è la cognizione del mistero, che non è una domanda ma una risposta. L’umano è fatto di limiti e la loro comprensione è l’umanità. Il mistero pone il problema della vita e della morte. La religione è il tentativo di rispondere alle domande del sacro, che è umano».
Tutte le religioni rispondono alle domande del sacro?
«Sì, ci sono tante risposte possibili ma quella che dà Gesù è unica, perché mette in una relazione personale uomo e Dio. Per gli ebrei Dio ha un rapporto col popolo e coi profeti. Gesù parla con tutti e questo per uno psichiatra che si occupa di relazioni è impagabile».
Il suo Vangelo preferito?
«Matteo perché tratta di relazioni, di persone e dei poveri, non a caso veniva tenuto in tasca da San Francesco».
Come considera i vangeli apocrifi?
«Penso aggiungano qualcosa alla figura di Gesù ed è un peccato che la Chiesa li escluda. È anche vero che i quattro vangeli canonici costituiscono un gruppo più omogeneo, anche se per esempio manca l’infanzia di Gesù. Ancora una volta un aspetto che a uno psichiatra interessa molto».
Della religione si continua a fare un uso politico?
«La storia di tutti i popoli unisce in modo contrastato la parte civile a quella religiosa. Dagli ebrei ai musulmani è difficile distinguere gli ambiti, perché il sacro è un dato biologico, indissolubilmente legato alla struttura dell’uomo. Per questo andrebbe maneggiato con cura, perché tutti ci poniamo il problema del trascendente».
Lo slogan mazziniano mutuato dal fascismo «Dio, patria e famiglia» cosa le fa venire in mente?
«Dio entra in tutto, ma non impone nulla. La patria è per ognuno importante, ma diversa e da conciliare con le altrui. La famiglia è un’istituzione di vita comune, che cambia col tempo. Gesù non ha mai parlato di questo, per cui bisogna distinguere poi tra lui e la sua Chiesa».
Per Freud si è come bambini davanti alla religione, è così?
«Dipende cosa intendiamo per bambino. Se una figura in crescita in cui prevalgono affetti e sentimenti allora pure io mi sento ancora tale. La scienza è utile, ma non è tutto. E anche la ragione a volte è un tentativo di far quadrare falsamente tutto. Meglio guardare ai bisogni, per cui se uno ha l’esperienza di Dio ci crede senza necessità di dimostrazione».
Lei non crede, ma crede che si possa credere?
«Un monaco o una suora non dimostrano Dio, ma ci vivono insieme. Le pare poco?».
Nel suo libro distingue tra il Dio feroce dell’Antico testamento e quello sorridente del Nuovo, come si conciliano?
«Resta un mistero, sono due figure diverse che vengono tenute insieme da ragioni storiche: la grande religione ebraica viene superata dal Dio più buono e democratico. Il Gesù di tutti come titola il mio libro».
Chi parla con Dio ha un maestro interiore o è un caso psichiatrico?
«La religione e la civiltà nascono con il culto dei morti. Interiorizzare un defunto è l’unico modo di superare un lutto. Tutti noi portiamo dentro un mondo di persone che non ci sono più. Io vivo più di morti che di vivi, coltivando il ricordo di genitori e fratelli scomparsi. Percepisco la presenza dell’assenza. Anche nell’amore si introietta in qualche modo il partner. Insomma, non è strano avere un dialogo interiore con chi si interiorizza, dal genitore a Dio».
Niente di preoccupante in tutto questo?
«Se non si arriva al delirio no. Nessuno di noi è un “Io” solitario, siamo tutti composti da piccole storie che ci teniamo dentro. E così torniamo al Sacro».
Nel suo libro tocca anche il tema Apocalisse, ci crede?
«Non credo alla fine del mondo, ma a una regressione di civiltà. Temo muoiano gli esseri umani, i legami affettivi, il rispetto, il disinteresse. Non possiamo tornare barbari».
Perché dopo tanto progresso viviamo questa regressione?
«Citando Freud, penso alla ciclica pulsione di morte dell’uomo. Con l’aggravante che non siamo guidati più dagli istinti, ma dai desideri di qualità della vita. Questo sta cambiando i cervelli e i comportamenti, per cui ci si ammazza a vicenda senza una logica se non distruttiva. Pure il potere finisce in mano ai cretini, che non è un’offesa ma una diagnosi».
Come vede la sessualità?
«Noto una violenza compensatoria della diminuzione delle capacità sessuali e della perdita del significato del sesso, che non serve più a continuare la specie, dunque è un desiderio svuotato di senso».
Si riferisce ai femminicidi?
«Sono sempre frutto della distruttività, che è violenza verso gli altri e se stessi tanto che finiscono spesso col suicidio. Dopo anni di tentati delitti perfetti questi, come quelli degli adolescenti che si riprendono, sono altamente imperfetti. Inoltre in molti casi la donna è maturata, mentre l’uomo resta culturalmente arretrato».
Esiste la mente criminale?
«Non credo ai mostri, ma a uomini che con un passato diverso non avrebbero fatto nulla».
Anche Donato Bilancia?
«Feci la perizia e prese tredici ergastoli morendo in carcere, ma sì vale anche per lui».
Questo cosa significa?
«Che potremmo essere una società meravigliosa».
L’individuo non conta mai?
«La responsabilità personale conta, anche se viene condizionata dalla genetica, dalla personalità che cambia a causa delle esperienze e dall’ambiente geografico e sociale in cui si cresce e vive».