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 2023  ottobre 12 Giovedì calendario

Un museo per il tartufo

Che il tartufo sia un pezzo da museo, lo sanno i gourmet di tutto il mondo. Ma che al tartufo si potesse dedicare un intero museo potevano pensarci solo ad Alba, la città che più di tutte ha valorizzato il fungo ipogeo, svelando l’universo culturale che ruota intorno a questo raro e prezioso frutto della terra: una storia di rapporti tra uomo, natura e cani, una tradizione secolare tramandata attraverso aneddoti, pratiche e proverbi che raccontano di un sapere dove si intrecciano vita rurale, tutela del territorio e alta cucina.
Dunque, ecco il Museo del Tartufo che verrà inaugurato domani pomeriggio
nel complesso della Maddalena, nel cuore cittadino dove ogni autunno si svolge la Fiera Internazionale del Tartufo Bianco d’Alba. Lungo le ampie gallerie dell’ex monastero sono stati ristrutturati 530 metri quadrati di spazio espositivo, per raccontare in 4 sezioni tematiche, 10 sale e un laboratorio di analisi sensoriale tutti i segreti del tuber magnatum pico, con incursioni negli ambiti scientifici, storici, letterari, artistici, culinari e commerciali svelati attraverso 140 metri di illustrazioni grafiche, vari contributi multimediali e 50 oggetti tematici esposti, a partire da una invidiabile collezione di tagliatartufi e di ricette.
A impreziosire il percorso, una galleria di 15 scatti realizzati da Steve McCurry. Il celebre fotografo statunitense ha compiuto a inizio settembre uno shooting tra i boschi di Langa, Monferrato e Roero ritraendo i trifolao con i loro cani. Il risultato è una mostra permanente dal titolo Truffle hunters and their dogs, curata da Maurizio Beucci. Nell’unica immagine finora resa pubblica, si vede Teo sollevato da terra e portato quasi in trionfo dai suoi padroni. È un pointer, uno dei “tabui” (cani da tartufo) della famiglia Aloi di Montà d’Alba (dove presto verrà aperta una seconda sezione del Mudet) che nelle notti autunnali esce con Martina, Vittoria e Luca alla ricerca del fungo ipogeo. Un’emozione notturna che il nuovo museo tenta di ricreare con opportuni giochi di luce e ombra, immergendo il visitatore in una sorta di scatola magica. D’altra parte, la cerca del tartufo è un percorso indiziario fatto di spie, congetture, di sensi allertati a cogliere segni, tracce, richiami.
Conosciuto fin dai tempi remoti, le sue prime notizie certe appaiono però solo nel Satyricon di Petronio, romanzo di età neroniana: nel celebre episodio della cena di Trimalcione, il “terrae tuber” è descritto con le forme dell’indovinello: «non cresco né in su, né in giù». Ma è a Plinio il Vecchio – scopriamo lungo il percorso di visita – che si attribuisce la prima e più completa tassonomia del fungo ipogeo. Nel XIX libro della sua Naturalis Historia, l’erudito romano descrive il tartufo nelle sue caratteristiche oggettive e mitologiche, essere a metà strada tra divino e terreno di cui si apprezzano la rarità e la bontà, ma si ignorano completamente l’origine e la propagazione. In attesa di prove scientifiche, il tuber rimase per tutta l’antichità un vero mistero. E diede origine al mito: un corpo fruttifero «figlio del fulmine» scagliato da Zeus in prossimità di una quercia e dotato di proprietà afrodisiache derivate dalla prodigiosa attività erotica del genitore.
Leggende che hanno continuato a vivere fino ai giorni nostri, contribuendo ad alimentare il mistero e i valori culturali che ruotano intorno al tuber magnatum pico, entrato nel 2021 a far parte della Lista rappresentativa del Patrimonio culturale immateriale dell’Umanità dell’Unesco. Quali siano questi valori, lo spiega bene l’antropologo Piercarlo Grimaldi, ex rettore dell’Università di Scienze gastronomiche di Pollenzo che ha dato il suo contributo insieme alla botanica Paola Bonfante, allo storico Silvano Montaldo e ai ricercatori del Centro nazionale studi tartufo: «Si tratta di un complesso patrimonio orale, di gesti e parole che si sono tramandati pressoché immutati da Plinio il Vecchio ai cercatori di oggi. E che ruotano intorno ai concetti di ricerca notturna, di segretezza assoluta, di incursione umana nel territorio delle masche e degli spiriti». E pazienza se per molti il tartufo è solo sinonimo di lusso e piatti ricercati: molto del suo fascino gastronomico svanirebbe se non ci fosse questa componente enigmatica e comunitaria che i promotori del Mudet intendono valorizzare e preservare. «Il Museo del Tartufo di Alba – dice l’assessore al Turismo, Emanuele Bolla – sarà una piattaforma di narrazione culturale di un prodotto che rappresenta un orgoglio per il territorio, per il Piemonte e per l’Italia a livello internazionale. Il tartufo avrà la sua casa aperta tutto l’anno, in cui verrà raccontato sotto il profilo sia scientifico che gastronomico, passando per gli elementi della tradizione più locale e della Fiera del Tartufo, culminando con la rappresentazione dell’immagine dei cercatori, immortalati da Steve McCurry». —