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 2023  ottobre 12 Giovedì calendario

A 60 anni dalla morte di Piaf

Isuoi successi in larga parte simboleggiano la Francia degli anni del secondo dopoguerra, quando era già nota e all’ombra della Tour Eiffel era iniziata una nuova era. Vengono in mente canzoni come La vie en rose o, più tardi, Non, je ne regrette rien, tutt’oggi veri cult. Minuta, per niente appariscente ma dotata di due occhi capaci di affascinare e di una voce straordinaria, a buona ragione viene considerata come la più grande cantautrice francese. Parliamo di Édith Giovanna Gassion, meglio conosciuta con lo pseudonimo di Édith Piaf (a inizio carriera “la môme piaf” in argot parigino “la ragazzina passerotto”). Nel sessantesimo anniversario della sua morte, a quarantotto anni, il 10 ottobre 2023, a Plascassier, in Provenza (per rispettarne le volontà fu portata di notte in ambulanza a Parigi dove l’atto di morte spostò la data all’indomani), Pierre Fesquet – drammaturgo e saggista che ha lavorato con “Les Compagnons de la chanson”, gruppo attivo dal 1941 al 1985 sostenuto dalla Piaf – ha appena pubblicato Piaf un cri vers Dieu (Éditions Salvator, pp. 154, €, 15,90). Si tratta di un profilo particolare, corredato di fotografie e documenti che, senza nascondere, ma nemmeno indugiare, su tanti “eccessi” nella vita al contempo fragile e potente della Piaf – fortunata nel lavoro, non nel privato costellato di incidenti, lutti, alcol, droga – ne racconta, alla luce della biografia, della sensibilità e del repertorio, quella che appare come un’inesauribile sete di Dio. Un leit motiv evidente anche dopo aver sgretolato consolidate leggende sull’esistenza inquieta di questa figlia di due poveri artisti di strada (il padre, contorsionista ambulante; la madre, cantante nelle fiere e nei caffé), arrivata a calcare i palcoscenici più prestigiosi in Europa e in America e a scoprire a sua volta talenti (da Yves Montand a Charles Aznavour), possedendo un “genio inimitabile” come scrisse Jean Cocteau, mancato lo stesso giorno, poche ore dopo di lei, sessant’anni fa. Lei, del resto, ad aver ripetuto frasi come «Se un giorno perdessi la fede, non potrei più cantare», a interpretare con le mani aperte verso il cielo canzoni come Dio Mio, Dio mio, Dio mio! Lasciamelo, Ancora un po’…, a dire alla sua infermiera Simone Margantin «Credo in Dio. Il Paradiso verrà, dopo il Giudizio Finale», e a chi le stava vicino «In cielo, ritroverò Teresa». Già, Teresa di Lisieux, verso la quale nutrì una profonda devozione «nei periodi trascorsi nella miseria e in quelli dell’abbondanza». Da quando – si narra – le sue preghiere di bambina rivolte alla santa in un pellegrinaggio, insieme alla nonna tenutaria di un bordello (dove Edith visse la sua infanzia), le ottennero la guarigione della vista, a rischio di cecità. Ecco svelati il significato della medaglia con l’immagine della santa al collo, il vestito di scena nero, i segni della croce prima delle esibizioni. Ecco chi alimentava la sua ricerca di fede, gioia e amore. Ciò nonostante, Édith Piaf non poté avere funerali religiosi per la sua «situazione irregolare»: così il comunicato dell’arcivescovado parigino. Non mancarono però le preghiere di tre ecclesiastici al rito della sepoltura, quel 14 ottobre ’63, al Cimitero di Père-Lachaise. Là dove ancora riposa, non distante dalla tomba di un’altra leggenda della musica, Jim Morrison.