Robinson, 8 ottobre 2023
Su Hendrick ter Brugghen, pittore caravaggesco
Ma chi è il pittore olandese Hendrick Ter Brugghen, e perché un focus così impegnativo, difficile e complesso? Si tratta, spiegano i curatori, di uno dei più eletti caravaggeschi nordeuropei della prima metà del Seicento, notissimo agli storici dell’arte, ma non altrettanto al grande pubblico anche perché ciò che di lui si conserva è poco, pur in rapporto alla sua breve vita. Ma proprio quel poco, ricomposto amorevolmente, acutamente analizzato e adeguatamente esposto e illustrato, è più che sufficiente a giustificare appieno l’immensa fama che il maestro godette in vita.
Nato nel 1588 e morto nel 1629, Ter Brugghen è uno dei primi pittori a meritare la definizione di “caravaggesco”. Caravaggio forse non lo vide mai di persona ma vide sicuramente a Roma Bartolomeo Manfredi e Carlo Saraceni che, grandissimi pittori entrambi e seguaci intransigenti del Merisi, avevano già elaborato quella sorta di culto della figura del Caravaggio ancora oggi largamente praticato. Gianni Papi da molti anni ha dedicato e dedica i suoi numerosi e apprezzati studi ad una capillare e attendibile ricostruzione di questo mondo artistico che solo con definizione onnicomprensiva può veramente essere chiamato “caravaggesco”. Ter Brugghen ne è esponente di spicco e molto precoce rispetto a tanti altri. Ma è entrato da tempo anche lui in una sorta di cono d’ombra e questa mostra è quindi un’occasione preziosa per molti esperti e appassionati di riaccostarsi a un artista grande, originale e estremamente enigmatico e segreto, ma splendido nel suo stile e profondo nel suo universo espressivo globalmente inteso.
Per arrivare a farci ben comprendere questa problematica tutt’altro che evidente, Papi, prima di ogni altra considerazione, smentisce, appunto muovendo da Ter Brugghen, la legittimità stessa del termine onnicomprensivo di “caravaggesco”, in sede di storiografia criticamente consapevole.
Ci spiega come sfuggire all’ovvio. Di certo, intuitivamente un maestro come Ter Brugghen rientra facilmente nella categoria “caravaggesco”. Forti contrasti cromatici, creati peraltro con una materia pittorica densa e spessa; tipi fisici inequivocabilmente prelevati dalla più aspra quotidianità; spazi come vuoti dove la natura è quasi assente, mentre si aggirano uomini e donne compressi uno addosso all’altro, sovente visti a mezzo busto, giocando a carte, bevendo e cantando in una taverna; lasciandosi raggirare da balordi, lestofanti di ogni tipo mentre il buio sembra calare implacabile su tutto, ma non prima che antichi filosofi, il cui aspetto mai avremmo creduto tale, spuntino ad ammonirci e biasimarci, con una certa virulenza altrettanto inattesa.
Papi chiarisce, ricostruendo la figura di Ter Brugghen per quello che veramente fu, come il “caravaggismo” sia una griglia concettuale, un vero e proprio metodo di indagine artistica sulla realtà, implicante l’adesione a una gamma di modelli, schemi, procedure, generanti immagini. Come gli standard nel jazz. Tenerli fermi non significa affatto fare la stessa cosa che fa l’altro, ma partecipare di un movimento di idee e di strategie culturali la cui mappa si può tracciare e circoscrivere.
Papi e Fischetti sviluppano, in questa mostra, un modello storiografico e critico di tale tipo. Ter Brugghen è stato in Italia, a Roma fondamentalmente, dal 1607-8 al 1614. Poi torna in patria, a Utrecht e vive una superba stagione realizzando una serie di opere potenti e commoventi. Si muove sempre tra l’alto e il basso, per dirla con Umberto Eco.
Esplora la dimensione del sublime e del grottesco. Come un maestro del Rinascimento europeo che ancora è memore di Dürer e di Raffaello Sanzio ma tutto legge con gli occhi del Caravaggio anche se poi scrive con i suoi. Papi e Fischetti hanno ritrovato ed esposto parecchie opere degli anni italiani, talora ricordate negli inventari di collezioni celeberrime.
In Italia Ter Brugghen lavorò solo su temi religiosi, nei Paesi Bassi soprattutto su scene di genere, ma la sua parabola è di una coerenza e una continuità assolute. I curatori lo affiancano ad alcuni dei primi caravaggeschi come il ticinese Giovanni Serodine, lo spagnolo Jusepe de Ribera e l’olandese Gerrit van Honthorst detto Gherado delle Notti.