La Stampa, 11 ottobre 2023
Alfabetto di Moretti
«Amo il mio lavoro in tutte le sue fasi. Più mi immergo nel mio lavoro, meno riesco a teorizzarci sopra». Nanni Moretti, di fronte a una sala gremita con 400 studenti, mette le mani avanti. Dopo la prima del suo debutto teatrale, lunedì sera al Teatro Carignano di Torino, il regista ha scelto di trascorrere l’intera giornata di ieri con i ragazzi dell’Università di Torino. Sono loro ad aver scelto il filo conduttore dell’incontro: le lettere dell’alfabeto, per sapere qualcosa di più sul suo vissuto e soprattutto apprendere dal suo talento. E Moretti in questo «abc» della sua vita si è lasciato condurre e trasportare dalle emozioni, un flusso di ricordi e consapevolezze che hanno lasciato gli studenti a bocca aperta.
A di «Apicella»
Per parlare di e con Nanni Moretti non si può ignorare il suo celebre alter ego, Michele Apicella, che lo ha accompagnato in cinque dei suoi primi film. «Mi sono divertito a continuare a mettere in scena certe sue caratteristiche. L’irascibilità, un’attenzione particolare verso le scarpe e i dolci. E poi il giocare con la palletta dentro la stanza». Quando il protagonista viene interpretato dal regista stesso, si crea un «cortocircuito, per cui molti spettatori mi hanno identificato con lui. I suoi dialoghi venivano scambiati per le mie idee. Eppure stavo raccontando un personaggio inventato, una persona difficile. Forse dopo 40 anni posso dire che lo avrei interpretato in maniera diversa».
B di «Ballo»
Utilizzato in maniera sapiente come un momento isolato, Moretti si è spesso servito del ballo per interrompere la narrazione e trasformarla in metafora. È ancora possibile ballare con quella spensieratezza? «Io non so farlo – ammette Moretti –. Dicono che non è vero, che tutti sappiamo ballare, ma no: io non ci casco». Risate. «Penso che ci sia per tutti, sempre, il modo e lo spazio per ballare. E magari non farsi troppi problemi come mi faccio io, che mi vergogno in modo esagerato».
D di «Diario»
«In Caro diario il pubblico, che idealizza tutto, pensa che abbia detto di stare sempre dalla parte delle minoranze. Una cosa nobile, che si può condividere, ma non è quello che dico nel film. Il mio tono era più di tipo umanista: io mi troverò sempre a mio agio con alcune minoranze, anche in una società migliore di quella attuale. La posta in gioco è umana, personale ed emotiva, non tanto politica e ideologica». Lo confermano i film autoprodotti, Palombella Rossa, Caro Diario e Aprile: «Non scrivevo prima di girare, perciò avevano dei buchi narrativi che speravo di colmare durante le riprese. Può essere un modo entusiasmante di lavorare, però è anche faticoso: non ci sono certezze sul risultato finale».
G di «Genitorialità»
«Mio padre insegnava epigrafia greca all’Università e ogni volta lo costringevo a fare un ruolo. Lui obbediva e aveva molto più talento di me a recitare». E affiorano i ricordi della gioventù. «A 19 anni abbandonai la scuola. Dopo un mese e mezzo di crisi decisi di sostenere l’esame da privatista, nello stesso istituto. Una volta diplomato, mi aggrappai con tutto me stesso al cinema. Era il mezzo giusto per buttare fuori quello che volevo comunicare agli altri e a me stesso. Vendetti la mia collezione di francobolli e comprai, per 100 mila lire, una cinepresa Canon. Lì iniziai a girare i primi cortometraggi». La sua passione. «Ascoltando musica mi vengono in mente delle scene ancora prima del soggetto. Non so quale sarà il prossimo film, ma voglio che dentro ci sia quella scena precisa».
M di «Memoria»
«La memoria è il nostro futuro. La destra di oggi non ha una memoria condivisa sulla guerra e la Resistenza. Da qui sono partito quando in Palombella Rossa ho deciso che il protagonista soffriva di amnesia. Un militante del partito comunista che soffre di questa malattia proprio perché ha individuato il problema del suo stesso partito». E mentre parla di ricordi, Moretti intreccia il suo passato personale con le storie che ha prodotto. «Sapete perché Palombella Rossa è ambientato in una piscina? Quando ho girato i primi quattro o cinque film praticavo la pallanuoto, ma non mi veniva bene. Un regista che pratica questo sport è inverosimile, eppure era vero. E dunque l’ho messo in scena». Anche se forse, non giocare a pallanuoto non gli riusciva poi così male. «A 17 anni ero in nazionale giovanile e se avessi insistito avrei probabilmente partecipato almeno a un paio di Olimpiadi. Ma lo sport mi annoiava e ho deciso di abbandonarlo per tuffarmi nella militanza politica. Per poi lasciare anche quella».
N di «Nutella»
Sembra di vederlo davanti al barattolo gigante della crema alla nocciola in Bianca. Ma Moretti si smarca subito: «Negli ultimi anni mi piacciono moltissimo i gelati e ho individuato due posti ottimi vicino al teatro. Ieri ho provato addirittura due gusti nuovi», scherza.
P di «Politica»
Il pensiero vola a La Cosa, il documentario sulla fine del Partito Comunista Italiano. «Nel 1989 c’era ancora un legame con i Paesi del blocco sovietico che trovavo assurdo. E non pensavamo certo di fare in Italia un regime non democratico, come in Unione Sovietica. Però comunque c’era un legame irrazionale, che ci portiamo come un cordone ombelicale che ancora non è stato reciso. Quando l’Unione Sovietica si è disintegrata, lo smarrimento non era solo dei militanti anziani: apparteneva anche ai giovani».
Z di «Zoccoli olandesi»
«Ogni scarpa, una camminata. Ogni camminata, una diversa concezione del mondo», diceva Nanni Moretti in Bianca. I ragazzi hanno scelto questa immagine di chiusura. Forse non c’era modo più iconico di salutarlo.