la Repubblica, 11 ottobre 2023
Respighi e Roma
È una bella idea aprire la stagione dell’orchestra di Santa Cecilia con i tre poemi sinfonici che Ottorino Respighi ha dedicato a Roma: Fontane, Pini, Feste.Ci saranno anche altri contributi, musicali e no, ma il cuore della serata sarà Roma del primo Novecento colta attraverso quei suoni e si potrebbe dire quei colori. Il “poema” come forma sinfonica è stata una tipica invenzione romantica; il compositore, attraverso i suoni, vuole suggerire immagini, luoghi, addirittura idee filosofiche, nel tentativo di spingere la musica ad esprimere non solo sensazioni ma idee e concetti precisi. Accade, per fare un solo esempio, nel Così parlò Zarathustra di Richard Strauss il cui enigmatico attacco venne scelto dal regista Stanley Kubrick per aprire il famoso film 2001: Odissea nello spazio.
Santa Cecilia eseguì nel 1917 la prima assoluta delle Fontane e anche – quasi dieci anni dopo – quella deiPini.I quattro pannelli, ad imitazione dei quattro movimenti di una tipica sinfonia classico-romantica, sono dedicati a quattro fontane di Roma “ritratte” nell’arco di una giornata, dall’alba al tramonto. Anche il poema dei Pini è suddiviso in quattro pannelli o “quadretti” (“I pini di Villa Borghese”; “Pini presso una catacomba”; “I pini del Gianicolo”; “I pini di Via Appia”), così leFeste.
Respighi scrisse leFontane negli anni della Prima guerra mondiale (1916-’17), nel 1913 s’era trasferito a Roma dalla natia Bologna, se volessimo indicare la ragione (l’ispirazione) intima di questo brano potremmo sicuramente vederlo nell’impressione che Roma fece sul compositore che all’arrivo nella capitale non aveva nemmeno 35 anni. Il poema racconta quattro fontane individuate con molta precisione: Valle Giulia all’alba, la fontana del Tritone al mattino, fontana di Trevi al meriggio, la fontana di Villa Medici al tramonto, scelta quest’ultima particolarmente indovinata non solo per le leggende che questa mirabile vasca ha alimentato ma anche per la sua collocazione davanti all’ingresso di Villa Medici, che guarda appunto verso San Pietro e quei tramonti romani non di rado spettacolari.
Anche il poema suiPini,eseguito nel 1924 sempre dall’orchestra dell’Accademia (direzione di Bernardino Molinari), risponde a criteri analoghi: “Pini di Villa Borghese”, “Pini presso una catacomba”, “Pini del Gianicolo”, “Pini della Via Appia”. Così anche leFeste romane a proposito delle quali è interessante ricordare che il brano venne eseguito per la prima volta alla Carnegie Hall di New York nel 1929 diretto da Arturo Toscanini. L’appoggio del maestro, che lo stimava, giovò sicuramente al compositore ma la scelta di eseguire quella novità davanti al sofisticato pubblico nuovaiorchese dice da sola quanto solida fosse la fama di Respighi.
Quasi un secolo prima, Felix Mendelssohn Bartholdy aveva composto l’ultimo movimento della suaQuarta sinfonia (detta “Italiana”) su un tempo di saltarello. Lo fa anche Respighi, anzi si spinge più in là perché anche l’ultimo movimento (o pannello) delle sue Feste è un saltarello ma il maestro vi fa addirittura emergere a un certo punto il popolaresco tema Lassatece passa’, semo roman i. Del resto, anche nell’apertura dei Pini,ambientata a Villa Borghese, affiora il tema della celebre cantilena infantile Oh quante belle figlie madama Dorè eseguita dai violoncelli appoggiati da fagotti e corno inglese, un bell’esempio di quegli impasti timbrici nei qualiRespighi era abilissimo. Non per niente aveva seguito per cinque mesi a San Pietroburgo i corsi tenuti dal compositore russo Nikolai Rimskij-Korsakov grande e colorito orchestratore – basta pensare alla sua famosa suite sinfonica Sherazade ispirata aLe mille e una notte.
La capacità di sfruttare al massimo le numerose sonorità di un’orchestra è stato un argomento a lungo dibattuto. Respighi era consapevole della sua abilità, sosteneva, con modestia, che la musica nasce da sola per un determinato strumento o gruppo di strumenti, il che è in buona parte vero, il buon compositore sente già al piano (o colsuo orecchio interno) a quale strumento affidare un certo suono. Poi però arrivano l’abilità, in certi casi il genio.
Molto nota la frase sprezzante con la quale Gustav Mahler (in una lettera del 1903 alla moglie Alma) liquidò laTosca di Puccini che non vide nemmeno tutta perché arrivato al terz’atto, prima ancora che il povero Cavaradossi venga fucilato, si alzò e lasciò il teatro. Opera mediocre, scrisse, anche se messa insieme con abilità dal maestro ma – aggiunta velenosa: «Al giorno d’oggi qualunque scalzacane sa orchestrare in modo eccellente».
Mahler è un musicista degno divenerazione ma in questo caso fu ingeneroso e sbagliò giudizio perché Tosca è un capolavoro la cui citazione cade a proposito in questo articolo anche per l’integrale ambientazione romana dei suoi tre atti: Sant’Andrea della Valle, Palazzo Farnese, Castel Sant’Angelo.
Respighi riuscì a resistere alle lusinghe e ai guadagni delle composizioni operistiche, rimase sulla musica strumentale dandogli rinnovata vitalità. Non a torto si dice che da Vivaldi si può passare direttamente a lui, dato il deserto sinfonico creato nell’Ottocento dal trionfo della lirica. Ebbe successo, come abbiamo visto, quando l’orchestra di Santa Cecilia eseguì per la prima volta iPini ci fu in sala un piccolo disorientamento iniziale ampiamente compensato dagli interminabili applausi finali. Elsa, moglie del maestro, ricorda nelle sue memorie: «applausi frenetici quali non si erano mai uditi all’Augusteo».
Respighi, come tutti gli artisti della generazione detta degli ’80 dovette convivere con il fascismo. Al contrario di Mascagni che aderì in modo totale al regime avendone in cambio la nomina ad Accademico d’Italia, Respighi riuscì a mantenere una posizione di maggiore indipendenza, non prese la tessera del partito, cercò di schivare le frequenti beghe; si limitò ad accettare onorificenze e qualche privilegio; morì presto, nel 1936 ad appena 56 anni. Che la sua musica fosse destinata a durare fu subito chiaro, i concerti in programma all’Auditorium ancora una volta lo confermeranno.