la Repubblica, 11 ottobre 2023
Gli studenti non vogliono imparare il latino
Classici in difficoltà e scientifici senza latino che volano. Mentre tra i tecnici e i professionali si fanno strada indirizzi e percorsi che provano a interpretare le esigenze del mercato del lavoro dei prossimi anni. Un’analisi degli iscritti al primo anno degli istituti superiori mette in evidenza quanto sia cambiato il modo di intendere il futuro (scolastico) di studenti e famiglie in un quindicennio scarso. Da quando nel 2010 è entrata in vigore la riforma Gelmini. Da quel momento, lo studio delle lingue classiche non sembra più un valore aggiunto per coloro che intendono proseguire gli studi all’università.
I giovanissimi, abituati a chattare in ogni momento della giornata e a esprimersi con un linguaggio sincopato e zeppo di emoticon, fanno fatica a impegnarsi nelle traduzioni di brani che risalgono a decine di secoli fa. Mentre ragionieri e geometri, che hanno contribuito al boom economico dei primi anni ’60 del secolo scorso, vivono ormai una crisi che appare irreversibile e che da alcuni anni ha coinvolto anche gli istituti alberghieri. Con i nuovi indirizzi del superiore in vigore da 13 anni le scelte degli italiani sono cambiate. Vediamo come.
La crisi dei licei classici
Prima che esordisse la riforma della ministra di Leno, i licei classici godevano del favore di dieci studenti su cento in ingresso alle superiori. Nell’anno scolastico appena avviato, la quota si è dimezzata, perdendo qualcosa come 28mila adepti. Per Maurizio Bettini, latinista di fama che insegna all’università di Siena, il calo è da attribuire a diversi fattori. «Prima il classico era la scuola che dava accesso a tutte le facoltà, mentre adesso non è più così. In più gli studenti erano convinti che lo studio del Latino e del Greco li avrebbe messi nelle migliori condizioni per gli studi universitari, unapalestra insomma. Ma perdendo iscritti al classico – avverte Bettini – il linguaggio si impoverisce». Poi aggiunge: «Pochi oggi hanno voglia di faticare in una società in cui esistono piattaforme che aiutano a tradurre da tutte le lingue». E per il classico per attirare più iscritti suggerisce di «modernizzare la didattica aprendo, ad esempio, al teatro».L’ascesa degli scientifici soft
L’abbandono delle lingue classiche investe anche gli scientifici. Prima della Gelmini, quel 21,6% di iscritti al primo anno doveva obtorto collo, è proprio il caso di dire, confrontarsi con la lingua di Seneca e non c’era modo di dribblarla. Ma con le opzioni delle scienze applicate e del liceo sportivo c’è una via d’uscita. E in meno di tre lustri, gli scientifici tradizionali perdono il 9% di iscritti al primo anno, 58mila studenti, mentre i due indirizzi senza latino ne conquistano 60mila.
Il successo dei linguistici
Non sembrano conoscere crisi i licei linguistici, prima della riforma soltanto paritari, e gli eredi degli istituti deputati per decenni a formare maestre e maestri: scuole e istituti magistrali, ora licei delle scienze umane. Oggi, entrambi gli indirizzi rappresentano il 17,5% di tutti gli iscritti al primo anno. Più di tutti quelli che affollano le classi degli istituti professionali.
Il liceo musicale/coreutico non riesce a esprimere tutto il suo potenziale per via del numero chiuso. E vale meno dell’1%. Mentre i licei artistici, che oggi inglobano anche gli ex istituti d’arte, si attestano al 5%. In vistoso calo rispetto all’anno scorso, meno 8%, ma in crescita rispetto al 2009 grazie al fatto che per accedere all’università non è più necessario frequentare l’anno integrativo. Prima della Gelmini il corso durava 4 anni.I tecnici: crisi e nuovi percorsi
La riforma Gelmini non è riuscita a bloccare la crisi dei tecnici e dei professionali. Dal 2010 l’istruzione superiore è stata attraversata da una forte licealizzazione figlia dell’ampia scelta – 6 licei con diverse opzioni – che ha sottratto iscritti agli altri segmenti. E il liceo del made in Italy, che il governo Meloni vuole affiancare ai 6 già esistenti, rischia di accentuare il fenomeno. Anche perché un percorso sul made in Italy già esiste t ra i professionali. Ma sembra che sulla base di un’idea abbastanza diffusa un liceo sia da preferire dal punto di vista sociale a un istituto tecnico o professionale. E se i primi limitano i danni perdendo circa 18mila iscritti, i professionali crollano letteralmente: dal 23,5% del 2010 gli iscritti al primo anno si sono ridotti al 15,3%. Lasciando per strada 53mila studenti. La carenza di idraulici e elettricisti specializzati è anche figlia di questi numeri. Ma non tutti i tecnici e tutti i professionali soffrono. Tra i primi, gli industriali, addirittura recuperano iscritti. Mentre sempre meno giovanissimi vogliono intraprendere la carriera di geometra e ragioniere. Questi ultimi hanno quasi dimezzato la loro presenza nella scuola secondaria di secondo grado. Tra i professionali, spicca la crisi degli alberghieri, vicini a un calo di 28mila iscritti su tutti gli anni dal 2010. E si fanno strada gli indirizzi del Made in Italy e per i Servizi per la sanità e l’assistenzasociale. Roberto Costantini, direttore delle summer school della Luiss, continua a scommettere sugli alberghieri. «Questi – spiega – seguono il trend dei professionali e sono stati colpiti dalle conseguenze del Covid. Un campo in cui ci sarà sempre lavoro è quello alberghiero». Poi allarga lo sguardo. «Quello che osserviamo – conclude – è la percezione di un futuro più incerto. E i giovani preferiscono intraprendere studi che consentano una immediata spendibilità nel mondo del lavoro».
«L’istruzione tecnico-professionale in Italia – incalza Giovanni Brugnoli, vicepresidente per il capitale umano di Confindustria – va profondamente riformata, nel senso di una maggior integrazione con il sistema produttivo. Non sembra casuale che tengano, a livello di iscritti, soprattutto gli indirizzi più legati all’industria e al Made in italy, così come quelli legati alla cura della persona che è un ambito dove il fabbisogno di professionalità è sempre più alto». E benedice la riforma proposta dal ministro Giuseppe Valditara del 4 + 2.