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 2023  ottobre 09 Lunedì calendario

IL KITSCH È NEGLI OCCHI DI CHI LO GUARDA - TORNA IN LIBRERIA PER BOMPIANI UN LIBRO FONDAMENTALE DATATO 1968 DI "GIN"GILLO DORFLES: “IL KITSCH. ANTOLOGIA DEL CATTIVO GUSTO”, UTILE PER ORIENTARE IL NOSTRO GIUDIZIO ESTETICO IN UN PERIODO COSÌ DENSO DI “OSCILLAZIONI DEL GUSTO” – LA TOUR EIFFEL MACINA PEPE, IL PORNO-KITSCH E IL CRISTO IN PLASTICA CROCIFISSO SU VARIE CONCHIGLIE - “IL CATTIVO GUSTO È SEMPRE IN AGGUATO, MA PUÒ ANCHE TRASFORMARSI IN AUTENTICA OPERA D’ARTE; DIPENDE SEMPRE DA NOI, DALLA NOSTRA CONSAPEVOLEZZA…” - DAGO EXPERTISE: ‘’IL ‘KITSCH E’ LA RIVINCITA DELLA SOTTOCULTURA POPOLARE SULL’ELITE” -

https://www.dagospia.com/rubrica-31/arte/kitsch-bussa-mia-porta-dago-expertise-cattivo-gusto-114234.htm



Aldo Colonnetti per “La Lettura - Corriere della Sera” - Estratti

Torna in libreria, finalmente, un libro fondamentale che ci ha accompagnato dal 1968 fino a oggi, Il Kitsch. Antologia del cattivo gusto di Gillo Dorfles, utile per orientare il nostro giudizio estetico in un periodo così denso di «oscillazioni del gusto». Uscito per la prima volta per l’editore Gabriele Mazzotta, il volume è riproposto da Bompiani che ha intrapreso la pubblicazione di alcuni suoi testi, in collaborazione con l’Associazione culturale Gillo Dorfles.

È un fiume con migliaia di affluenti il concetto di kitsch, difficile da navigare; certamente, come Dorfles scriveva nella premessa alla quinta edizione del 1990, «il termine stesso, quando questo volume fece la sua prima apparizione, equivaleva inderogabilmente a cattivo gusto, e come tale comprendeva tutte quelle forme di “non-arte”, “sub-arte”, “pseudo-arte” che costituivano il pasto estetico della borghesia trionfante: la vera nascita del kitsch è da situare verso la metà dell’Ottocento, in sintonia con l’avvento dell’industrializzazione e delle grandi borghesie europee».

In sostanza, come in saggi successivi Dorfles ha messo in evidenza, il kitsch trionfa quando viene meno la relazione tra dimensione estetica e ritualità, ovvero s’indebolisce il contesto simbolico che il mito ha messo al centro della sua narrazione. Un esempio, la «Tour Eiffel macinapepe»: i souvenir turistici come «feticci di un proprio passato», scrive il nostro autore.

Va sottolineato il ruolo di Dorfles nel raccogliere e scegliere l’iconografia sempre aggiornata nelle diverse edizioni, a testimonianza della sua militanza di studioso, utilizzando testi di, o collaborando con, figure come Hermann Broch, Clement Greenberg, Vittorio Gregotti e Ugo Volli; ma c’è pure il contributo teorico, assolutamente originale, riconducibile alla sua opzione «fenomenologica» che ha sempre mantenuto nella ricerca sul campo (un’opzione culturale che deriva dall’amicizia e dal percorso comune con il filosofo Enzo Paci).



(...) La vera arte non è mai “maliziosa”; il kitsch lo è e questa è la sua essenza. È necessario conoscerlo, anche frequentarlo e, perché no, qualche volta utilizzarlo, senza farsi mai prendere la mano. Perché il cattivo gusto è sempre in agguato».

In sostanza, il cattivo gusto risiede più nel soggetto e nella sua consapevolezza culturale che nell’oggetto: dipende da noi coglierlo, utilizzarlo, respingerlo all’interno di una relazione dinamica perché è sempre sotto traccia, appunto «in agguato». Rileggere il volume e scorrere le immagini di questa nuova edizione ci fa comprendere la profondità teoretica dell’autore e, nello stesso tempo, la sua leggerezza e la visione «laica» del problema, senza mai trasformare i giudizi in condanne inappellabili.

Per esempio, nel capitolo dedicato al Pornokitsch, facendo riferimento ad alcune opere dell’artista americano Jeff Koons e la sua relazione con la pornodiva Cicciolina, ecco alcune immagini diffuse sui mezzi di comunicazione di massa dove «l’elemento politico tanto nella glorificazione dei figli dei fiori, quanto nella degradazione a cache-sexe della svastica, non può che risultare di dubbio gusto».

Si potrebbe affermare, allora, che il linguaggio del kitsch è una trascrizione del patrimonio simbolico della modernità, dove «alto e basso» si mescolano e si sovrappongono realizzando così ciò che la cultura postmoderna ha teorizzato e praticato: quando viene a mancare il contesto, da dove si sviluppano le idee e i relativi progetti, ogni forma, ogni oggetto si presentano come assoluti, senza denunciare le proprie origini. Da qui il germe del kitsch.

Dorfles è, insieme, severo nel giudizio e curioso del risultato, senza mai esprimere condanne assolute e moralistiche. Nel capitolo sul Kitsch cristiano, tre immagini parlano con chiarezza di questo atteggiamento: «Come ricordo turistico di Venezia, un Cristo in plastica crocifisso su variopinte conchiglie, forse provenienti da qualche ristorante, un portacenere di gusto scurrile, un water, in vendita di fronte alla Basilica di Sant’Antonio di Padova, la cui immagine è stampata sull’oggetto». La riproduzione, sulla copertina di un album della band dei Deviants, di una suora che lecca un ghiacciolo è così commentata nella didascalia: «Alla fine degli anni Sessanta i richiami erotici cominciano ad apparire in un insieme in cui glamour, kitsch e sesso si fondono splendidamente come in questa copertina di dischi».

Quest’antologia del cattivo gusto rappresenta un manuale di orientamento, utilissimo per navigare in modo consapevole nella comunicazione contemporanea, dove le nuove tecnologie sono in grado di montare sequenze e narrazioni dove tutto è vero e falso contemporaneamente. Dorfles ci ha insegnato ad andare oltre l’apparenza delle «cose», basti pensare al concetto di «oggetto banale» di Alessandro Mendini, presente nell’antologia del cattivo gusto, per affermare alla fine, come scrive nel 1990, in relazione al design, «che proprio da questa immissione di elementi “venuti dal basso” possano nascere nuove forme creative che, in un secondo tempo, finiscono e finiranno per sublimarla e ricondurla nell’alveo più genuino della creatività».

Il cattivo gusto è sempre in agguato, ma può anche trasformarsi in autentica opera d’arte; dipende sempre da noi, dalla nostra consapevolezza. Da questo punto di vista Dorfles è il nostro «Marcel Duchamp» della critica: la sua eredità, il suo insegnamento sono sempre attuali.