il Fatto Quotidiano, 9 ottobre 2023
L’energia solare è verde, il riciclo dei pannelli no
L’energia dev’essere verde: la transizione ecologica lo prevede. Nel solare però lo smaltimento degli impianti che ci consente di produrla rischia di non essere affatto green e questo nonostante i pannelli siano riciclabili per oltre il 98% e contengano “materie prime seconde” anche di un certo pregio (vetro, acciaio, silicio, polimeri, persino argento). Una bizzarria mentre l’Ue prescrive addirittura di riaprire le miniere per assicurarsi un pezzo di fornitura fuori dalla filiera “cinese” delle rinnovabili.
Andiamo con ordine.
In Italia a fine 2022 erano installati ben oltre 100 milioni di pannelli fotovoltaici, ma l’inghippo riguarda quelli messi in funzione prima del 2014, ai tempi dei cinque mitici “Conti energia”, cioè il sistema di incentivi per la produzione di energia da rinnovabili: i cosiddetti “pannelli incentivati” sono la stragrande maggioranza di quelli esistenti, circa 84 milioni di pezzi, all’80% di proprietà di produttori professionali, spesso fondi d’investimento. Gli incentivi, concessi dal 2005 al 2013 e di durata ventennale, hanno garantito 64 euro l’anno per ciascun pannello: non è mai bello parlare di soldi, ma a botte di 13 miliardi all’anno siamo già a circa 180 miliardi di incentivi dal 2005 a oggi e altri 150 miliardi arriveranno di qui al 2033, quando scadrà il quinto Conto energia.
Come che sia, molti di questi pannelli sono a fine corsa: il ciclo di vita medio è di circa 13 anni e poi la tecnologia dei pannelli è mutata al punto che sostituendo i moduli (il cosiddetto revamping) si può arrivare a produrre nello stesso spazio fino a tre volte l’energia di un tempo. Si calcola che i vecchi pannelli avviati a smaltimento siano ormai nell’ordine di 6 o 7 milioni all’anno. Qual è il problema? Nei 12 consorzi per lo smaltimento riconosciuti dal ministero dell’Ambiente sono iscritti poco più di 2 milioni di pannelli sugli 84 “incentivati” installati in Italia. E gli altri? Qui sta il problema. Per anni la legge che prescrive lo smaltimento “ambientalmente compatibile” per i pannelli aveva un “buco” proprio riguardo gli impianti pre-2014: situazione sanata dalle “linee guida” aggiornate dal Gestore dei servizi elettrici l’estate scorsa e che estende ai pannelli incentivati il sistema della “garanzia” previsto per quelli nuovi. In sostanza, si può scegliere di versare 10 euro a pannello a uno dei consorzi riconosciuti o lasciare che il Gse li prelevi dagli incentivi fino alla dimostrazione del corretto smaltimento.
Come detto, nei consorzi non si sta iscrivendo quasi nessuno e non è chiaro nemmeno se il Gse abbia prelevato la garanzia dai produttori professionali: quel che è certo è che il Gestore non ha aggiornato le linee guida con gli ultimi interventi normativi che cercano di incentivare il sistema delle garanzie per lo smaltimento corretto dei pannelli (la rateizzazione del contributo, la proroga termini per il versamento, etc.). Anche il sistema delle garanzie, peraltro, non risolve davvero il problema: il corretto smaltimento non è obbligatoriamente orientato al riciclo totale dei pannelli, con buona pace della decantata “economia circolare” e della riapertura delle miniere nell’Ue per estrarre le cosiddette “terre rare” necessarie per la transizione verde (il silicio ad esempio, presente nei pannelli fotovoltaici).
Il problema è che c’è sempre qualcuno che vuole risparmiare troppo, nonostante 10 euro a pannello siano lo 0,7% degli incentivi ricevuti in vent’anni e di fatto solo il costo vivo del riciclo: il guadagno per i consorzi arriva dalla vendita dei materiali recuperati (secondo Irena il loro valore arriverà a 15 miliardi nel 2050). Sul mercato c’è chi offre il ritiro del pannello esausto persino a 1,5 euro: tutto legittimo, ma è chiaro che a quel prezzo non c’è alcuna “circolarità” possibile e lo Stato potrebbe ben pretenderla specie dai produttori “professionali” che hanno milioni di pannelli e ricevuto miliardi di incentivi.
Il fallimento del sistema consortile di raccolta e recupero dei pannelli porta con sé peraltro un rischio interno che è già da anni cronaca nera. Basta leggere il report annuale del Nucleo tutela ambientale dei carabinieri: i pannelli esausti spesso finiscono illegalmente in qualche magazzino/discarica o – dotati di nuove matricole – vengono rivenduti in mezzo mondo, specie in Africa, per diventare presto rifiuti abbandonati nei campi o in mega-discariche tipo quella di Accra, in Ghana.