la Repubblica, 9 ottobre 2023
I teatri chiudono il sipario
Si è fatto appena in tempo a denunciare che il Globe di Roma, da vent’anni la sala elisabettiana della Capitale, resa popolare da Gigi Proietti, chiusa da un anno, sotto sequestro e senza agibilità sarà abbattuto, che più di ventitremila persone hanno sottoscritto un appello per salvarlo, dando la misura di quanto il teatro sia un bisogno sentito e importante per una città. Eppure proprio il recentissimo “caso” Globe, ha alzato il velo su un fenomeno preoccupante: c’era una volta un’Italia che vantava oltre tremila teatri (nel ‘98 un censimento della Siae ne contava 3.477) e oggi non si va oltre i duemila.Solo a Roma in anni recenti è stato destinato ad altro uso il Teatro Cometa, ultimo di una miriade di piccoli spazi che non esistono più; fallito e sbarrato dal 2017 l’Eliseo, il palcoscenico di Totò, Magnani e poi di Romolo Valli, Rossella Falk; per non parlare del Valle, gioiello architettonico del Settecento, la sala dove Pirandello debuttò coiSei personaggi, chiuso dal 2010 e solo lo scorso marzo il sindaco Gualtieri ha promesso che nel 2025 riaprirà.Va anche peggio a Milano: dopo il Teatro Smeraldo, il meraviglioso Odeon dove recitava Franca Rame (diventato nell’88 un cinema e in agosto chiuso anche questo), più di recente è stato smantellato il Teatro Nuovo, casa della rivista di Wanda Osiris e dove Eduardo aveva recitato Natale in casa Cupiello(diventerà un megastore), ilTeatro Libero, il piccolo ma importate Teatro i, e del promesso restyling del Teatro Ringhiera, nemmeno l’ombra.Si stima che siano 428 i teatri che negli ultimi anni sono stati chiusi, abbandonati o che hanno cambiato destinazione d’uso: uno ogni quattro. Un numero indicativo, risultato di una paziente indagine a cura di Francesco Giambrone, il sovrintendente dell’Opera di Roma e presidente dell’Agis, che risale al 2008, perché censimenti ufficiali non ce ne sono e anche questo è segno di trascuratezza. Tanto più che, sia pur con qualche approssimazione, per il 25% sono sale vincolate dai Beni culturali, dunque un patrimonio architettonico importante.Torino, per esempio, ha perso lo storico Teatro Macario che un tempo veniva chiamato teatro bomboniera. A Venezia ha cessato l’attività l’unica sala dedicata ai linguaggi del contemporaneo, il Teatro Fondamenta Nuove, seguendo la sorte dell’Aurora di Marghera e del Teatro della Murata di Mestre. Le sale chiuse sono 32 inPiemonte, 23 in Emilia, 39 in Toscana, 19, in Liguria e ben 59 in Sicilia e 57 in Lombardia (a Cremona ancora rimpiangono il bel Politeama Verdi, in rovina e messo all’asta). Numeri che descrivono una desolante modificazione del paesaggio culturale.Il fatto è che i teatri non chiudono per mancanza di pubblico: dopo gli anni neri del Covid (70,71% in meno di ingressi) la ripresa c’è eccome e nel 2022 secondo l’Istat si registra un valore quattro volte maggiore di pubblico rispetto al 2021. Perché si chiude, allora? Per questioni economiche legate alle necessità di un restauro o di adeguamento alle norme (come per quel gioiello liberty che è il Comunale di San Felice sul Panaro, danneggiato dal terremoto del 2012 e mai riaperto), per l’aumento della burocrazia, per il Fus, il finanziamento dello Stato ai teatri, che è fermo a 423mila euro. Ma bisognerebbe quantificare anche quanto costa un patrimonio architettonico abbandonato. Nel 2016 il restauro del Valle di Roma era circa sui 3 milioni di euro, oggi il Comune ne spenderà circa 6. E meno male che al settore dello Spettacolo e cultura, il Pnrr ha assegnato 300 milioni di euro, per la riqualificazione energetica delle strutture. Ma non è tutto. Il valore di un teatro è legato soprattutto alla sua dimensione culturale. Teatro vuol dire patrimonio di relazioni, di cultura, educazione, coscienze. Vuol dire ricchezza immateriale. Perderla è un errore sociale.