La Stampa, 8 ottobre 2023
40 anni di CCCP
C’è un motivo ben oltre il revival o la memorialistica da cifra tonda – quarant’anni dalla nascita – se i Cccp lottano ancora insieme a noi, nell’amore incondizionato di un pubblico di devoti che prega perché Giovanni Lindo Ferretti e Maurizio Zamboni tornino insieme su un palco. O se la vecchia casa in pietra dello stesso Ferretti a Cerreto Alpi, alto Appennino reggiano, è meta di visite dei devoti di cui sopra, che nei decenni lo hanno visto passare dalla divisa dell’Armata rossa dei Cccp Fedeli alla linea alla figura errabonda in esplorazione delle steppe dell’Est di Tabula rasa elettrificata. Erano diventati prontamente Csi, Consorzio suonatori indipendenti, dopo la caduta della Cortina di ferro nel 1989 e con quell’album bellissimo raggiunsero il primo posto in Italia, un miracolo per un gruppo così. Intanto, da vero monaco quale era già allora, Giovanni Lindo leggeva in pubblico i Vangeli apocrifi, ben prima che la conversione ufficiale lo trasformasse nel cristiano tradizionalista che è diventato, seguace di papa Ratzinger (da cui andò in visita e che ha sempre ammirato) nonché traditore del comunismo, con le sue dichiarazioni di vicinanza alla Meloni, per esempio.Tutto questo e molto altro rientra nella bella mostra “Felicitazioni!”, una citazione da Spara Jurij, che la Fondazione Palazzo Magnani dedica ai Cccp dal 12 ottobre all’11 febbraio 2024 nella “sua” Reggio Emilia, anche se «sua» è improprio, perché Ferretti è sempre stato un montanaro irredimibile e inquieto che lasciò Reggio per Berlino, già a quel tempo fra le capitali dell’underground europeo. Proprio qui un caso davvero troppo clamoroso per non essere preordinato dal destino lo fece incontrare con un altro reggiano, Maurizio Zamboni, futuro chitarrista dei Cccp. E qui siamo al secondo motivo che fa del gruppo punk filo-sovietico emiliano – dove se non a Reggio, con la sua scritta «partigiano reggiano» ben visibile dall’A1, poteva nascere una band così? -, un’esperienza giunta fino a noi: «Scegliamo l’Est non tanto per ragioni politiche, quanto etiche ed estetiche – scrivono i Cccp in quel manifesto che è Ortodossia, primo EP, 1984 -. All’effimero occidentale preferiamo il duraturo, alla plastica l’acciaio, alla freddezza il calore, ma al calore la freddezza».Lapidaria la conclusione, tale da mozzare ogni dubbio: «Ognuno ha l’immaginario che si merita». Scegliendo un orizzonte alternativo a Madonna e alla Coca-Cola, Ferretti e compagni arricchivano il fiume del postmoderno che tracimava da riviste come Frigidaire e programmi tv come Quelli della notte, nel solco del punk e dello spirito Dada sopravvissuto al Settantasette.Ma c’era qualcosa in più: i Cccp cantavano le notti nebbiose di un’Emilia sazia e disperata che si aggirava da Modena a Reggio, a Carpi, a Carpi al Tuwat, a Carpi al Tuwat, a Carpi al Tuwat, in un continuo vagare da un concerto a un posto nuovo dell’Arci. Tutte citazioni da Emilia paranoica, capolavoro che restituiva l’atmosfera del tempo sospesa fra il vuoto assoluto e la ricerca convulsa di un motivo per stare al mondo. Ferretti, che tante sofferenze aveva visto nella sua vita precedente di infermiere psichiatrico, riassumeva in poche strofe lancinanti una visione apocalittica dell’esistenza, capace comunque di afferrarne il senso profondo: Produci consuma crepa! Produci consuma crepa! Sbattiti fatti crepa! Sbattiti fatti crepa!, un terribile accostamento della vita di ognuno di noi all’arrabattarsi quotidiano del tossico. Un racconto del genere, lacerato e lacerante, attirava torme di punk e skinhead pronti a darsele sotto il palco. E siccome i Cccp suonavano spesso e volentieri alle feste dell’Unità, quel pubblico fottuto e anarchico andava spesso a cozzare col servizio d’ordine del Pci senza speranza di riuscire, se non a comprendersi, almeno a non picchiarsi.Nel ricordo di chi scrive è ben viva la rissa scatenata da un gruppo di skinhead a un concerto dei Cccp a Vignola, provincia di Modena, 1987: la mischia che si accese sotto il palco costrinse l’organizzazione a sospendere tutto per evitare guai peggiori. nel retropalco, un Ferretti furente dall’aspetto super punk, cresta in testa e anfibi ai piedi, masticava rabbia: «Avrei voluto esserci io sotto il palco per dargli due sberle». —