Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 08 Domenica calendario

Intervista a Mago Silvan

Signor Silvan, come sta? Va bene se la chiamiamo mago?
«Sono in gran forma, faccio un sacco di cose, spettacoli nei teatri, viaggi, incontri, penso sempre a nuovi effetti magici da portare in scena, qualcosa di inedito e magari di molto antico, però mai visto».
Che energia, alla sua età.
«Il mago non ha età, è senza tempo. È un classico. Come Proust. Come Hemingway».
Mago va bene, allora?
«Direi che è perfetto. Ma anche illusionista, anzi illuso: perché ancora credo di creare la vera magia, e che la mia voce fluisca per incantare. Mi illudo, o per meglio dire so, di essere davvero un mago e non di recitare la parte. Ho cominciato a sette anni e non smetterò mai».
Una vocazione precocissima. Ce la racconta?
«In quinta elementare, a Venezia, il maestro Salvagno mi vide trafficare con le mani nelle tasche, mi chiamò alla cattedra, mi fece andare dietro la lavagna e mi disse: “Savoldello, (perché il mio vero nome è Aldo Savoldello), venga qui, si vergogni, queste cose non si fanno”. Pensava che mi stessi masturbando, invece mi allenavo con un mazzo di carte».
Si allena ancora?
«Certo. Almeno due ore ogni sera.

Metto un film, prendo il mazzo da 140 carte e comincio a farle girare a ventaglio con una mano sola. A volte appendo piccoli pesi alle dita, quelli delle bilance di una volta. Ho le mani di un ventenne. Mai usato creme, solo i guanti, mai afferrato un coltello, devo stare attento. Una volta, queste mani le assicurai per mezzo miliardo, c’era ancora la lira».
Silvan, ma cos’è la magia?
«Una cosa tutta mentale. È fascino, irrazionalità. La magia è destrezza, è psicologia, è arte, gesto, è molto più di ciò che sembra. Allude, parla d’altro. La magia esiste solo nella mente di chi guarda, e ti accredita poteri che naturalmente non possiedi. Però tu hai il talento delle mani, degli occhi e della voce. Se io le dico “stia attento, a questo punto si compie la vera magia” (il mago lo dice proprio con la sua inconfondibile, ammaliante e vellutata voce, ndr ),la vera magia è già cominciata. Ma è dentro di lei, non tra le mie dita».
Crede che il nostro tempo così razionale abbia ancora spazio per certe cose?
«La magia è non riuscire a trovare la spiegazione in un mondo che pretende di spiegare tutto. Oggi ogni cosa sembra svelata, denudata nei social che io non guardo manco morto, dove si può apparire anche perché si arrotolano gli spaghetti al contrario. Però, noi uomini restiamo bambini, vogliamo il giocattolo: ed è un crimine aprirlo per scoprire cosa c’è dentro».
La magia è fantasia?
«Crea mondi paralleli, come la lettura. Ma sono proiezioni di quello che già siamo. Il libro è già dentro di noi mentre lo leggiamo, un bravo scrittore aiuta soltanto a tirarlo fuori, a vederlo bene».
Perché, invece, noi non la vediamo quasi più in televisione?
«Me lo domando anch’io. Non c’è spazio, ma non ho mai bussato a nessuna porta in vita mia. Eppure la mia ospitata in Rai a Capodanno hafatto 5 milioni di ascolti, e lo stesso a Pasqua, quando sono stato il picco di spettatori aDomenica in.Il mio numero di telefono ce l’hanno, sanno che esisto e che vado ancora in scena. Se mi chiamano e mi dicono “Silvan, facciamo Sim Sala Bim numero ventiquattro?”, io rispondo presente. E sono sicuro che avrei successo, perché ce l’ho da quasi settant’anni».
Da quella sera in tv con Enzo Tortora…
«Esatto. Era il 1956, il programma si chiamava Primo applauso, lo presentavano Tortora e Silvana Pampanini. A quell’epoca mi chiamavo “Mago Saghibù”. La signora Pampanini mi disse “ragazzo, ti serve un altro nome d’arte, usa il mio, togli solo la a”. E così Silvana diventò Silvan. Funzionò, non crede?».
Eccome. E il magico “Sim Sala Bim” come nacque?
“Veramente, all’inizio la mia formula era “tactàc – serumba – yamaclèr”.

La cambiai prendendo spunto dal ritornello di una canzoncina danese degli anni Quaranta, anche questa è andata bene».
Lei saprà di essere un simbolo, una specie di creatura mitica, e non solo magica, per milioni di persone.
«Lo so, non sono un bugiardo. Me lo dimostrano in tanti, continuamente.
Perché la magia è una cosa seria, mica un giochetto. Ho anche la fortuna di non essere troppo cambiato, viso e capelli sono rimasti più o meno gli stessi, scuri al naturale come quelli della mia bisnonna Luigia, che morì felice a 108 anni, mentre mio padre superò i novanta: confido nella genetica».
Lei gioca a carte?
«Mai. Tra l’altro, l’Interpol mi ha vietato di mettere piede nei casinò, se lo faccio mi arrestano».

Molti suoi numeri sono passati alla storia: a quale, tra questi, è più affezionato?
«La stupirò. Anche se rischiai di soffocare dentro un baule perché il mio aiutante non trovava più la chiave, anche se ho fatto sparire un elefante, e 25 persone in diretta sul palco dell’Ariston, e qualche tigre, anche se ho tagliato donne in otto pezzi e le ho fatte levitare, il mio orgoglio è la manipolazione: saper muovere a ventaglio quelle 140 carte con una mano sola».
Silvan, lei è famoso in ogni angolo del pianeta: come lo spiega?
«Per essere speciali, bisogna avere almeno una virgola in più degli altri.
Io sono un autodidatta, ho una biblioteca di magia con 3500 volumi dove attingo le mie idee. Bisogna essere preparatissimi su una materia che esisteva già tremila anni prima di Cristo. La magia è molto più di un trucco, è quasi un miracolo laico. Io parlo alle menti e parlo con le mani».
Silvan, forse lei è destinato all’immortalità.
«Quando porto i miei nipoti al cinema, sono costretto a travestirmi. Mi metto un cappello e i baffi finti, così nessuno mi riconosce».
L’ultimo trucco delmago?
«Non ci sarà mai un ultimo trucco. Le auguro una giornata magica».