la Repubblica, 8 ottobre 2023
Intervista a Paolo Pombeni
Riformisti contro massimalisti.
Sinistra moderata contro sinistra radicale.
Mancano solo glianarco- sindacalisti e precipitiamo all’alba del Novecento, tra i fratelli coltelli della gauche italiana. Ma che succede nel laboratorio politico del Mulino, travolto da una disputa d’altri tempi? L’abbiamo chiesto al direttore neoeletto della rivista il Mulino, Paolo Pombeni, storico stimato dalla comunità scientifica, tra i più tradotti, carattere mite e incline all’understatement. «In realtà ci divide solo una diversa intonazione davanti a uno stesso spartito», tende a spegnere il professore. Si tratta davvero di uno stesso spartito? O, piuttosto, di una profonda diversità di vedute, la stessa che oggi attraversa e forse paralizza il centro-sinistra, mentre la destra avanza indisturbata?
Riassunto delle puntate precedenti. Scade la direzione di Mario Ricciardi, professore di filosofia del diritto che porta vivacità battagliera e lettori più giovani all’edizione web della rivista. Negli ultimi mesi qualcuno ha storto il naso: troppo di sinistra e troppo radicale. Per la votazione del successore gli intellettuali del Mulino vanno allo scontro, spaccando l’associazione a metà: in trenta scelgono Piero Ignazi, il politologo che avrebbe smussato qualche angolo ma mantenendo il piglio di energica opposizione alla destra sovranista; trentadue voti premiano Pombeni, portatore ecumenico di istanze variegate.
Altri trenta restano a casa: per anagrafe, impegni altrove, forse per un sostanziale imbarazzo. Tra gli assenti più celebri Romano Prodi, Enzo Cheli e Arturo Parisi.
Professor Pombeni, ha vinto il riformismo contro il massimalismo, come scrivono i suoi sostenitori?
«Ma questa è una semplificazione di un dibattito molto più complicato! Noi stiamo vivendo una grande transizione storica. E come sempre in questi passaggi ci si divide tra chi alza la bandiera dell’identità – Weber l’avrebbe chiamata l’etica della convinzione – e chi vuole contribuire all’analisi de problemi rifiutando l’idea che sia il tempo delle divisioni tra guelfi e ghibellini».
“Transizione” è un’affascinante categoria storica, ma oggi ci misuriamo con un dato eccezionale: l’Italia è governata da una destra radicale, sovranista, che si rifiutadi dichiararsi antifascista.
«Esistesse solo questo problema! Sono cambiati tutti i parametri culturali, è cambiata la geografia del mondo, tornano le guerre imperialiste… La destra sovranista è solo un piccolo accidente che arriva in conseguenza di tanti cambiamenti».
Tanto piccolo non sembra, professore. Come è possibile non prendere posizione?
«Le rispondo ricordando le origini del Mulino. Anche allora, nel 1951, c’era una grande spaccatura rispetto alla Democrazia Cristiana, interpretata come partito conservatore. E i nostri padri fondatori decisero di non schierarsi, scegliendo un’altrastrada: l’analisi dei problemi e la proposta di soluzioni. Il nostro compito non è dire se questa destra sia buona o cattiva – io penso che non sia molto buona – ma contribuire a offrire idee e indicazioni».
Ma schierarsi non significa rinunciare a pensare.
«No, certo che no. Ma preferisco schierarmi attraverso il “problemismo”, come lo chiamava Federico Mancini, che èun atteggiamento tutt’altro che morbido e indifferente. Guardi, nella sostanza le posizioni tra me e Piero Ignazi coincidevano. Ci divideva solo una diversità di intonazione nell’eseguire uno stesso spartito. Noi questa destra preferiamo sfidarla sul terreno delle idee piuttosto che prenderla a cornate».
È difficile immaginare il professor Ignazi o personalità quali Cheli o Parisi impegnati in corride sanguinarie…
«Attenzione: né Cheli né Parisi hanno votato, trattenuti a Roma da altri impegni. Che abbiano sostenuto Ignazi è una leggenda metropolitana! Parisi ha solo fatto un tweet di elogio alla direzione di Ricciardi. E comunque davvero trovo sbagliata lacontrapposizione. Conosco Ignazi da una vita: non è stata una lotta tra angeli e demoni».
È stata una contrapposizione politica tra uno schieramento di sinistra e un altro che include profili intellettuali molto critici verso la sinistra come quello di Ernesto Galli della Loggia. È stato lo stesso Galli della Loggia a dichiarare che la rivista “il Mulino” era diventata troppo di sinistra.
«Ernesto è un conservatore illuminato. E trovo le sue idee sempre degne di interesse, parte integrante del patrimonio culturale democratico».
Questo però non è in discussione. Quel che resta fuori dal patrimonio culturale democratico è la destra sovranista che fa accordi con Orbán e non riconosce l’antifascismo.
«Ma noi professori abbiamo una vocazione pedagogica: si tratta di liberare questa destra da un retaggio che le impedisce di diventare un grande partito conservatore».
C’è modo e modo di parlare di questioni come il razzismo. È stata proprio la rivista a criticare Galli della Loggia per il tono sbagliato.
«Sono opinioni comunque da accogliere, non da respingere».
Professore, questa contesa dentro il Mulino non riflette le divisioni che paralizzano il centro-sinistra, mentre la destra guida indisturbata il paese?
«È difficile che un’associazione come quella del Mulino non sia condizionata da quello che le accade intorno. I problemi del centro sinistra ovviamente ci coinvolgono. Ma siamo novanta professori universitari con altrettante teste pensanti: trovo sbagliato caricaturizzare la nostra discussione come una contesa tra la destra e la sinistra del Partito Democratico. Con me avrebbe vinto Bonaccini. Ma quando mai?».
Un’ultima domanda che le faccio con tutto il rispetto che si deve al suo magistero. Lei ha 75 anni. Il fatto che ci si rivolga a una persona della sua età non è il segno di una crisi?
«Sì, è stata una contesa tra anziani: Ignazi ne ha 72, non è un ragazzino. Sarebbe stato più sano affidare la direzione de il Mulino a un giovane. Ma mi permetto di ricordare che la rivoluzione dentro la Chiesa fu fatta da un Giovanni XXIII ottantenne. E Alcide De Gasperi divenne presidente del Consiglio a 64 anni. Autoconsolatorio?
Probabile, ma davvero spero di riuscire a dare un contributo all’evoluzione positiva di questo Paese»