Corriere della Sera, 8 ottobre 2023
I centravanti come categoria filosofica
«I centravanti dell’Inter come categoria filosofica». Sabato 14 ottobre, al Festival dello Sport di Trento, parlerò di questo. Secondo Aristotele, le categorie raccolgono le proprietà dell’essere. Sono dieci: la sostanza, la qualità, la quantità, la relazione, il dove, il quando, lo stare, l’avere, l’agire, il subire. Per ognuna, ho scelto un centravanti nerazzurro: da Renato Cappellini (1965/68, 46 presenze e 18 gol) a Lautaro Martinez (dal 2018, 181 presenze e 89 gol).
Se tutto ciò vi sembra estremamente infantile, avete ragione. Ma il calcio è infantile: se non lo fosse, non ci piacerebbe tanto. Aiuta a fantasticare, a godersi le vittorie, ad accettare le sconfitte; produce sogni brevi e ricordi a lunga conservazione. Una salamoia sentimentale che si deposita nelle famiglie, passando dai genitori ai figli. Per un papà torinista un figlio juventino è un dramma shakespeariano. Poi qualcuno gli dice: dài, non esagerare!, e lui sorride (ma non prima del derby).
Se pensate che il tifo per una squadra sia inversamente proporzionale all’intelligenza, vi sbagliate: Vittorio Sereni e Giovanni Raboni, poeti squisiti, erano interisti appassionati e compagni di domeniche a San Siro. Ho un amico – un medico noto, uno dei migliori nel suo campo – che in un convegno ha detto: «Avrei scambiato la mia carriera per un anno come riserva nella Sampdoria». I colleghi hanno riso, pensando che scherzasse. Io temo che fosse serio.
Ogni giocatore in campo evoca fantasie. I centravanti, più di tutti. Perché, segnando più spesso, sono il servosterzo del destino, aiutano nelle svolte. Sembrano anche, fra i calciatori, i più sensibili alle lusinghe della carriera e del denaro. L’importante è non prenderli troppo sul serio, come ha ricordato Fabrizio Roncone, parlando di Romelu Lukaku. Gli abbracci strappalacrime e lo sbaciucchiamento della maglia fanno parte del (costoso) pacchetto. Chi paga, se lo porta a casa.
Questo fa dei calciatori degli ipocriti? Ma no, sono atleti, uomini di spettacolo e personaggi letterari involontari. Il problema è che non tutti se ne rendono conto, e si risentono se qualcuno (s)ragiona pubblicamente su di loro. Sbagliano: i loro fatturati sono proporzionali alle nostre fantasticherie. Quindi: stiano buoni, e ci lascino divertire.