Corriere della Sera, 8 ottobre 2023
Rampelli se la prende con Napoleone
«Via quel quadro: Napoleone depredò l’Italia di immensi tesori: quadri, statue, arazzi». Così Fabio Rampelli, deputato di FdI, ha annunciato la rimozione del ritratto «Napoleone imperatore e re d’Italia», che si trova davanti al suo studio di vicepresidente della Camera. Si tratta di un raffinato dipinto (datato 1805) del pittore milanese Andrea Appiani, alfiere del neoclassicismo in Italia. Un’icona che, però, non va giù a Rampelli, che si lancia in una nuova battaglia sovranista: «L’arte non ha confini né appartenenze, questo quadro starebbe benissimo in una galleria – spiega —. Ma mi infastidisce che sia qui, nel palazzo che rappresenta il tempio della sovranità nazionale».
Rampelli, di fatto l’unico oppositore di Giorgia Meloni dentro a FdI con la sua corrente dei «Gabbiani», punta il dito sul ritratto del «flagello d’Europa», come lo chiamavano i nemici, appeso sulla parete dell’anticamera del suo studio a Montecitorio. L’opera di Appiani è di proprietà della Pinacoteca di Brera e «in deposito temporaneo» alla Camera dal 1927. Cinto dalla corona d’alloro, il generale Napoleone veste un abito di velluto verde, ricamato con quadrifogli e foderato di seta, indossato in occasione della incoronazione a re d’Italia.
Una tela che i francesi ci invidiano e Rampelli vive come una beffa e di cui vuole disfarsi, perché a suo dire celebra chi ha depredato i tesori italiani. Non è la prima volta che l’ex missino, già maestro politico dell’attuale premier, si lancia in una campagna con impronta sovranista. Poche settimane fa era partito all’attacco con una proposta di legge: «Multe fino a 100 mila euro per chi usa termini inglesi». «Sono contrario alla cancel culture – spiega al Corriere —. Non ritengo però sia normale che opere che richiamano personalità controverse e comunque anti italiane stiano nel piano nobile di Palazzo Montecitorio. Certamente possono avere, nella loro indiscutibile bellezza legata al genio degli autori, una posizione alternativa. Non ne avrebbe a male neppure l’imperatore Bonaparte». E adesso l’opera di Appiani dovrà trovare una nuova collocazione alla Camera, altrimenti potrebbe tornare a casa, a Brera.