La Lettura, 7 ottobre 2023
La teologia delle canzonette
Con il vescovo Antonio Staglianò, presidente della Pontificia Accademia di Teologia – che incontriamo in Vaticano, a Casa Santa Marta – parliamo di Gesù e di Dio, di fisica teorica e del film Oppenheimer, ma anche di canzonette che «non son solo canzonette» (Edoardo Bennato), visto che il monsignore teologo ha preso i testi delle canzoni di Francesco Gabbani, Marco Mengoni, Noemi, Simone Cristicchi, Fabrizio Moro, Roberto Vecchioni, Vasco Rossi, e dopo averli «studiati» ne ha fatto la base musicale e poetica di una «teologia per tutti», che ha chiamato Pop-Theology. E che divulga in chiesa, all’università, nelle conferenze, cantillando a cappella, o accompagnato dalla chitarra che suona egli stesso, oppure cantando insieme al pubblico che va ad ascoltarlo e che, come in un concerto rock, intona con lui le stesse canzoni.
Monsignor Staglianò, lei sostiene che si fa teologia ogni volta che si riflette sull’esistenza umana e che Gesù sarebbe venuto sulla Terra anche senza il peccato originale. Una novità.
«Gesù afferma di sé stesso di essere prima di Abramo, prima di Adamo, prima che il mondo fosse. E quando gli scribi e i farisei gli obiettano che è troppo giovane per aver visto Abramo, Gesù risponde: “Non ho detto che ho visto Abramo, ma che Abramo ha visto me”. Come Verbo di Dio che viene sulla Terra per la nostra salvezza, e non solo per redimerci dal peccato originale, sì, Gesù sarebbe venuto ugualmente».
Ma questo non va contro la ragione?
«Sì, è un problema che fa impazzire la ragione. E che richiede una riflessione critica, razionale, sia alla luce della fede, sia attraverso le analogie che troviamo nella meccanica quantistica e nelle teorie del multiverso, per noi teologi interessantissime, poiché la quantistica è un modello di interazione materia-spirito che consente a chiunque, credente o no, di capire che la realtà è molto più profonda della sua crosta materiale».
Tanti esseri umani pregano. Cos’è la potenza della preghiera?
«La preghiera è potente perché è un incontro intimo, profondo, con il Dio invisibile, che non è un’entità generica ma una persona vivente. Noi cristiani crediamo nella Trinità. Padre, Figlio e Spirito Santo, come realtà personali, tre persone uguali e distinte».
La preghiera è un momento mistico?
«Certamente. Nella preghiera mistica tu ti elevi ed entri nel cuore di Dio e da lì guardi giù e vedi ciò che Dio ama: i poveri, gli affamati, gli afflitti, i migranti in balìa delle onde… La preghiera è potente perché muove alla carità. Il vero dramma del cattolicesimo convenzionale è che prega, ma non si muove».
E questo lei lo ha spiegato con «Amen», un brano di Francesco Gabbani.
«L’ho trovato perfetto (lo cita, cantillando, ndr): “E allora avanti popolo/ Che spera in un miracolo/ Elaboriamo il lutto con un Amen/ Dal ricco in look ascetico/ Al povero di spirito/ Dimentichiamo tutto con un Amen”. Che cosa significa? Che non puoi pregare e dire: “Ascoltaci, o Signore” e poi non muoverti».
Allora aveva ragione Fabrizio De André, che bisogna salvare il cristianesimo dalla Chiesa cattolica?
«De André in questo senso ha ragione. Questa schizofrenia tra fede e opere della carità è il dramma del cattolicesimo. Perciò, io che credo nella Chiesa cattolica, da teologo dico che questo cattolicesimo va cristianamente denunciato».
Lei insiste sulla verità. Ma esiste la verità?
«La verità esiste. Perché esiste Gesù di Nazareth che dice: “Io sono la verità”. La verità per noi cristiani non è un concetto ma una persona. Come dice Vasco Rossi nella sua canzone La verità, che si chiude così: “La verità non è una cosa/ la verità si sposa”. Giusto, si sposa, come una persona. Per un cristiano, Dio è la verità. E la verità esiste come persona in Gesù».
«La verità vi farà liberi», è scritto nel Vangelo di Giovanni.
«È così. Ma affinché esista la libertà, è necessario che esista la persona, e non l’individuo. La libertà dell’individuo è solo la “mia” libertà, soggettiva, egotica, narcisistica. La libertà della persona invece è trama di relazioni umane, relazione d’amore con gli altri. Il cristianesimo indica una via per la libertà: se ami sei libero, se sfrutti sei schiavo».
Non se ne vede molta in giro, di questa libertà.
«La causa è in una globalizzazione a impianto assolutamente economicista, un globalismo finanziario che come uno tsunami ha travolto tutto. Sei libero solo di scegliere quale prodotto acquistare all’ipermercato. Se hai i soldi. Ecco perché Papa Francesco insiste sui poveri e su tutto ciò che libera la Chiesa da quel potere temporale che la rendeva schiava».
Il consumismo peggio del fascismo (Pier Paolo Pasolini), il rapporto tra l’uomo e le cose che ha sostituito la relazione dell’uomo con Dio e con il prossimo (Eduard Limonov): sono questi i nemici della libertà personale?
«Sì, perché la “civiltà dell’ipermercato” è barbarie. Come la mafia. Entrambe mercificano le relazioni umane, ti dicono che l’unica relazione che può renderti felice è quella con le cose. Quindi “civiltà dell’ipermercato” e mafia sono nemiche del cristianesimo e non possono sviluppare alcuna affinità elettiva con esso».
Per quanto fin qui detto, lei ha pensato a una teologia per tutti e l’ha chiamata Pop-Theology. Pop, perché?
«Pop come popolare, e come musica pop. L’idea è nata durante una conferenza sulla “metafisica del concreto”, dieci anni fa. A quella conferenza c’era un pubblico di trecento persone, quasi tutti giovani, che si stavano annoiando. E io dovevo parlare per le conclusioni. Ma di fronte a quei ragazzi stufi, dopo ore di parole, ho detto che avrei cantato la canzone di Noemi Vuoto a perdere. Ho visto i ragazzi subito attenti e ho cominciato a cantillare: “Sono un peso per me stessa/ Sono un vuoto a perdere…”, e tutti, dico tutti, hanno preso a cantare con me. Erano di nuovo connessi».
Una canzonetta li aveva ridestati dalla soporifera conferenza?
«Proprio così. E da lì in avanti ho potuto dire ciò avevo in mente di dire, e cioè che il “vuoto a perdere” altro non è che l’horror vacui che angoscia l’uomo, che la metafisica è l’essere o non essere dell’Amleto di William Shakespeare, e che alla “metafisica del concreto” si interessavano anche le canzonette di Sanremo. Ho chiesto: chi ha vinto Sanremo? E tutti: “Marco Mengoni”. Con quale canzone? “L’essenziale”. Ecco, ho detto, questo è un termine della metafisica. L’essenziale è ciò per cui una cosa è quello che è. Non vi importa? Eh, no, perché se amate una persona, voi volete sapere di lei l’essenziale, l’essenza… E ho cominciato a cantillare (intona la canzone, ndr): “Non accetterò/ Un altro errore di valutazione/ L’amore è in grado di/ Celarsi dietro amabili parole…”. E all’improvviso i trecento annoiati erano impazziti di gioia».