il Fatto Quotidiano, 7 ottobre 2023
Biografia di Giorgio Pinotti
Una vita intera consacrata ai libri: letti, studiati, tradotti. Giorgio Pinotti, storico editor di Adelphi, contribuisce alla redazione di tutti i risvolti dei volumi pubblicati, alla scelta delle immagini di copertina, alla revisione dei testi scovando refusi o inesattezze. Fu il compianto Roberto Calasso a reclutarlo all’inizio degli anni 90 e oggi che a sostituirlo alla guida della casa editrice è il nipote 37enne Roberto Colajanni “tutto prosegue nel segno della continuità. Nessuna cesura”. Per questo Pinotti, sia pure in pensione, resta fedele alla routine frenetica di braccio destro.
Classe 1954, si forma in quella Pavia universitaria che vede brillare filologi del rango di Maria Corti, Cesare Segre, Dante Isella. Si laurea in Lettere con una tesi su Carlo Emilio Gadda, scrittore che contrassegna tutta la sua parabola intellettuale. Persiste a interrogarlo nel solco di “una fissazione personale e notturna” ma quando Gadda – dapprima con testi minori e poi con le opere principali rilevate da Garzanti – entra nel catalogo Adelphi ecco che la passione coincide con il lavoro (curatela coordinata insieme a Paola Italia e Claudio Vela). È lui a interagire con l’erede Arnaldo Liberati, nipote della governante a cui Gadda lasciò i suoi diritti, nella comune volontà di sfatare il mito di un “Ingegnere” impervio e di renderlo popolare. “Nulla è mai scontato con Gadda, la sua officina è così provvisoria e piena di sorprese che lavorare ai suoi testi è sempre esaltante”. Mentre tornano in libreria le “conversazioni” saggistiche riunite ne I viaggi la morte, Pinotti celebra i cinquant’anni dalla morte dell’autore milanese rimarcando il “miracolo acrobatico” di un Pasticciaccio che, sia pure senza finale, resta un poliziesco perfettamente compiuto.
Prima di diventare luogotenente in casa Adelphi, Pinotti negli anni 80 si è fatto le ossa prima alla Einaudi e poi in Garzanti. “A Torino fui chiamato per approntare una sorta di corrispettivo italiano della mitica Pléiade di Gallimard ma il progetto si arenò”. La seconda esperienza fu altrettanto infruttuosa. “Lavoravo alle Garzantine e a una edizione dell’Enciclopedia europea che purtroppo non vide mai la luce”. Il ricordo di Livio Garzanti è in chiaroscuro: “Intelligentissimo, aveva in mente di fare l’anti-Einaudi. Solo che forse mescolare alto e basso, pubblicare chessò Volponi e Love Story, fu uno slancio troppo ambizioso. Ha cercato di essere tutto e si è smarrito”. Al contrario di Calasso, editore risolto e disposto a scontare marginalità e inimicizie pur di non tradire il suo disegno identitario. Basti pensare alla costellazione del Novecento italiano nel catalogo Adelphi. Autori inseguiti, scelti, promossi. Tra gli altri Savinio, Landolfi, Manganelli, Flaiano, Malaparte, Parise. “Un Novecento di irregolari, autori spesso ingiustamente nell’ombra. Grazie alla intuizione di Calasso e ai suoi repêchage una scrittrice come la Ortese scala addirittura le classifiche nel 1993 con Il cardillo addolorato”. Un catalogo, scandito anche dagli amati mitteleuropei, che incanta Sciascia al punto che trasloca da Einaudi felice di “figurare insieme a tanti altri scrittori che sentiva affini”.
Profondo conoscitore della lingua francese, in virtù di ascendenze paterne, Pinotti ha tradotto classici come Simenon e Genet. È lui, insieme ad altri, a premere in casa editrice per acquisire Carrère. Un autore amato è Jean Echenoz: “Nei suoi romanzi finzione e realtà si fiancheggiano con una lingua sempre musicale”. Musicale come la prosa di Milan Kundera, morto questa estate. Lo scrittore ceco – di cui martedì esce nei tascabili L’arte del romanzo – sarà ricordato da Pinotti proprio oggi a Torino nell’ambito di Portici di carta. Severo e schivo, Kundera detestava “i biografi, i filologi, quelli che frugano nelle pattumiere di carta”. Ecco perché Pinotti – nel suo unico incontro a Parigi con l’autore in vista della traduzione de L’ignoranza uscito nel 2003 – è intimidito. Tuttavia, dotato di un humour seduttivo, Kundera risulta alla fine meno rognoso del previsto. Pinotti, che a maggio ha tradotto anche Un Occidente prigioniero, non ha dubbi: “Kundera è stato formidabile nei romanzi come nei saggi. La sua grandezza? Quando uno finisce un suo saggio prova il desiderio irresistibile di leggere l’autore di cui ha magnificamente scritto”.