la Repubblica, 7 ottobre 2023
Intervista ai Rockets
Cantare di amore, libertà, futuro, ed essere presi per nazisti. È successo a una band insospettabile come i Rockets, i francesi che negli anni Ottanta, testa rasata, vernice argentea e tuta da astronauta spopolarono ovunque, specie in Italia, conGalactica, On the road again e Future woman. «E questi look – racconta Fabrice Quagliotti, tastierista e storico leader del gruppo – ci hanno creato equivoci. Pochi, per fortuna. A Torino, sarà che potevamo somigliare vagamente al Duce e una chitarra pareva un po’ una svastica, ci trovammo a esibirci per neofascisti, faccia coperta e saluto romano. A Milano fummo i primi a tornare al Palalido dopo il famoso concerto di Santana interrotto dagli autonomi: ci tirarono i bulloni. E una data a Bergamo saltò perché avevano messo una bomba sotto il palco. Noi che le bombe le usavamo nei concerti, ma finte».Ora, però, la bomba è musicale: voi che rifate “Piccola Katy”, il primo singolo del disco “Time machine”, tutto di cover. Che c’entrate voi coi Pooh?«Nulla, siamo anche meglio a calcio, li abbiamo battuti 2-1».Prego?«Ai tempi giravamo assieme, avevamo la stessa agenzia, la milanese Trident. Per ingannare il tempo facemmo una partita assieme ai rispettivi tecnici. I nostri erano molto più forti dei loro e vincemmo».Non avrà scelto la canzone solo per queste memorie pallonare.«Certo che no. Ma quando si è deciso un disco tutto di cover abbiamo voluto due canzoni italiane, l’altra èRock’n’roll robot che suoniamo proprio con Alberto Camerini ed è il nuovo singolo, con un video fatto tramite AI. Ci piaceva l’idea dei Pooh perché sono bravissimi, perché sono diversissimi da noi e perché Piccola Katyè una canzone davvero moderna, la descrizione di una ragazza fiduciosa e indipendente, una donna d’oggi».Reazioni dei Pooh?«Una email di Roby Facchinetti che le leggo testualmente: “Fortissimooo”, con tre “o”».Idee di suonarla assieme?«Per il momento voglia e speranza, magari in qualche data del loro tour.Ma ancora nulla di concreto».Parliamo del resto del disco. Le cover non vi sono mai dispiaciute, basti ricordare che la stessa “On the road again” era dei Canned heat.Qui si va da “Walk on the wild side” di Lou Reed a “Sex machine” di Tom Jones. Quali sono i criteri?«Il criterio sono io. Cioè le mie budella, il mio cuore, quel che mi muove dentro una musica, ed è sempre così.Walk on the wild side è di mezzo secolo fa e parla di identità sessuale, di scelte, di libertà.Sex machine è semplicemente una meraviglia. C’è solo un dettaglio fondamentale, nelle cover: devistravolgere gli arrangiamenti, sennò tanto vale che ascolti l’originale.Piccola Katy ora è rock, elettronica, la parte parlata è rap».C’è un’altra band italiana che va citata parlando di voi. Ecco alcuni indizi: 24 febbraio 1996, Sanremo.«E come no,Elio e le Storie tese che alla serata finale del Festival cantarono La terra dei cachi vestiti da Rockets. Ovviamente senza dircinulla prima, una roba quasi da svenimento. Anche per la bravura clamorosa del gruppo, gente coi controcazzi, mi scusi, ma da francese non so come altro dirlo in italiano».Rende l’idea. Vi accomuna anche il fare concerti che sono spettacoli.«Quella è sempre stata la nostra linea. Un concerto non può essere un concerto e basta, una sfilza di canzoni. Deve essere anche uno spettacolo nel senso vero. Nel periodo di fine anni Settanta la pensavano così solo i Pink Floyd, per il resto prevaleva il cantante jeans capelli lunghi e chitarra. Noi avevamo altre idee e infatti tanti pensavano che fossimo il circo, vedendoci rasati, argentati, in tute spaziali».Ora però forse di spettacolo nei concerti ce n’è troppo, no?«Adesso sì. Un equilibrio deve esserci. Invece spesso la musica è così scarsa, ora, che la si copre con gli effetti e le trovate».Ma questo vostro costume vi ha mai creato problemi?«Erano gli anni Ottanta, giravamo un film tutti argentati ma in tenuta da chirurgo in una clinica di Roma.Eravamo in ascensore e ci dissero “andate dove volete, ma non al settimo piano”. Ovviamente fu il primo posto dove andammo.Al piano la porta si aprì, era il reparto maternità. Una donna incinta ci guardò e urlò terrorizzata.Prememmo subito il pulsante “Terra” e non abbiamo mai voluto sapere se il trauma aveva fatto rompere le acque a quella signora».