Corriere della Sera, 7 ottobre 2023
Il Nobel a Narges
Il premio Nobel per la pace a Narges Mohammadi è una lama di luce che entra nell’architettura del regime iraniano e la fa scricchiolare, rivelandola ancora una volta davanti al mondo nei suoi ingranaggi illiberali, violenti, sessisti.
«R iuscite a sentire il rumore del muro della paura che si è crepato nel mio Paese? – chiedeva nel suo ultimo pamphlet affidato alle piattaforme digitali e ripreso da Le Monde a inizio settembre – Presto ascolteremo insieme il fragore del crollo definitivo». Il comitato di Stoccolma, annunciando il suo nome, ha ricordato che Mohammadi, 51 anni, madre di due figli, è stata arrestata 13 volte, condannata a un totale di 31 anni più 154 frustate (ma il contatore non è certo fermo) e si trova oggi nel carcere di Evin, nella capitale. Il riconoscimento arriva poco dopo l’anniversario della morte di Mahsa «Jina» Amini, la ragazza curda ventiduenne pestata dalla polizia morale perché «malvestita», e mentre un’altra giovane, la sedicenne Armita Garawand, resta in coma in un ospedale di Teheran dopo essere stata aggredita in circostanze che hanno visto abbattersi la stessa ferocia del 14 settembre 2022, questa volta su un gruppo di studentesse svelate, dirette a scuola in metropolitana.
La storia di Mohammadi è straordinaria, ma racconta bene la resistenza diffusa – di un movimento che è pacifico, appassionato, instancabile – agli ayatollah e ai loro guardiani. I suoi studi di matematica e fisica, la laurea di ingegneria, poi la scelta di lavorare come giornalista, infine la militanza e la prigione. Il Nobel a lei, vent’anni dopo la consegna a Shirin Ebadi, sua compagna di lotta, interroga anche noi. Quanto sentiamo «nostra» questa lunga battaglia per la libertà e i diritti? Quanto in fretta abbiamo archiviato la Rivoluzione delle giovani e dei giovani iraniani, delle loro madri e dei loro padri che li hanno sostenuti e accompagnati, in un incrocio di generi e generazioni? Ogni volta che lo sguardo di chi sta intorno si abbassa, cresce il coefficiente di repressione e di morte. Condividiamo la stessa aspirazione a vivere senza paura, a venir riconosciuti per i nostri desideri, progetti, cambiamenti. Non siamo estranei. Non restiamo indifferenti.