La Stampa, 7 ottobre 2023
Sul catalogo Adelphi
L’occasione di queste mie righe è una conversazione sulla casa editrice Adelphi con Roberto Colajanni che ne è direttore editoriale e amministratore delegato. Prima di cominciare, per chiarire il mio punto di vista, mi denuncio.Ho un cappellino da baseball sul quale c’è scritto Fleur Jaeggy. Non me lo sono fatto fare, l’ho comprato su Minor Canon, un fan project che ricama e stampa su cappelli, magliette e borse di tela, nomi di artisti e artiste che «hanno portato e portano avanti una tradizione di indagine critica, un gioco meta-artistico, una invenzione». Il canone è, ovviamente, in continua espansione.Premetto il cappello da baseball per dire che ho trovato naturale su Tik Tok vedere titoli Adelphi letti e commentati, con commozione ed entusiasmo, da giovani e ancor più giovani utenti.Adelphi non è solo una casa editrice, è una forma.Cosa che si potrebbe dire di (poche) altre case editrici italiane le quali tuttavia non vengono utilizzate né come abbigliamento – le borse di tela Adelphi sono attese quasi quanto le campagne sconti – né come elementi di arredo o pantoni per le pareti – colori delle copertine della collana Fabula e della Piccola Biblioteca – né, tantomeno, letti come I Ching (sempre in catalogo Adelphi nella traduzione di Veneziani e Ferrara), un oracolo per la vita di ogni giorno e per quella a venire, da giovani i cui altri video hanno per tema fumetti manga, highlights di imprese sportive, ricette di cucina vanagloriose e dunque tragiche.Ne L’impronta dell’editore (2013) il fondatore Roberto Calasso ha osservato: «Se una casa editrice non è concepita come forma, come una composizione autosufficiente e retta da una alta compatibilità fisiologica fra tutte le sue parti, è molto facile che diventi un aggregato occasionale, incapace di sprigionare quell’elemento magico che persino gli esperti di marketing ritengono essenziale per avere un qualche successo sul mercato: la forza del marchio». In quel libro pubblicato dieci anni fa Calasso non intendeva fare teoria dell’editoria, ma parlare di editoria come forma, da studiare come si fa con un libro. A quel punto Adelphi, rivista come libro, aveva già più di duemila capitoli. Quando si apre il sito Opac Sbn (internet culturale) che contiene i cataloghi e le collezioni digitali delle biblioteche italiane, alla parola Adelphi corrispondono 9.791 occorrenze che includono, non solo gli ormai circa tremila capitoli della casa editrice rivista come libro, cioè le novità, ma pure le diverse edizioni di libri già in catalogo. In Memè Scianca (2021), biografia in forma di racconto di formazione, o viceversa, Calasso racconta come la sua passione per i cataloghi sia nata nelle stanze del Gabinetto Viesseux e scrive: «C’è un piacere specifico, molto intenso, legato ai cataloghi». Se il catalogo è sfogliabile come un libro, e in un libro ci sono tante cose quante sono le persone che lo hanno letto, allora pure in un catalogo.Il primo libro Adelphi che ho letto è stato Lo scimmiotto di Wu Ch’êng-ên (tradotto da Adriana Motti), classico cinese che racconta come anche una pestifera scimmia partorita da una montagna possa diventare Buddha, il libro, attraverso le vicende di Scimmiotto, lega alto e basso, terra e cielo, non è una metafora, è una prassi, una avventura. Le avventure cominciano perché c’è un gradiente – una variazione lungo una direzione – un dislivello. (Attraverso la lente del gradiente si potrebbero ridefinire i generi letterari, ma non è questo il luogo). Così nel catalogo Adelphi convivono – con “alta compatibilità fisiologica” – Peter Cameron e Martin Heidegger, Cathleen Schine e Simone Weil. Ne Lo scimmiotto c’è una certa caotica disciplina e un certo disciplinato caos, ossimori insomma, che mi fanno pensare al catalogo Adelphi nel solco dell’opera di due scrittori “classici” che conosco sufficientemente bene – Jaeggy e Walser – e dell’ultimo libro Adelphi che ho letto, Maniac di Benjamin Labatut (tradotto da N. Gobetti).In Jaeggy, la disciplina è la maschera del disordine (I beati anni del castigo), l’apparenza è la prova (Proleterka), l’educazione è una forma di distanza, il disprezzo si nasconde dietro l’obbedienza, la sincerità non è una qualità da prediligere, le cose insomma stanno non tra gli opposti, ma negli opposti. In Walser si entra in una scuola per diventare servi – «Quelli che ubbidiscono sono per lo più la copia perfetta di quelli che comandano» (Jacob von Gunthen) – e si capisce che è meglio star fermi – «È così dolce restare. Forse che la natura va all’estero?» (I fratelli Tanner) – si ribaltano insomma l’idea di istruzione come libertà e di viaggio come opportunità. Nell’ultimo Labatut, l’ipotesi da accettare è che la logica sia disciplinata, la razionalità non sia emotiva, la scienza sia tale perché esatta, l’immaginazione sia tale perché caotica, esista insomma una demarcazione, invalicabile, tra ragione e sentimento, caos e disciplina. Leggendolo si capisce poi che così non è, Maniac cioè confuta le ipotesi di partenza, avvera una prassi in un certo senso e nel senso che mi è utile ora e cioè sottolineare quanto il catalogo Adelphi fino ad oggi, e spero continui in questa direzione aggiungendone altre come si confà all’editoria libraria, proceda per ossimori, accostamenti impensati, disciplina caotica e caos disciplinato, mescoli maschera e verità, fatti e rappresentazioni, ci tranquillizzi nel nostro essere una miscellanea di contraddizioni, sentimenti commendevoli e miserie, conoscenza e ignoranza, ci gridi e sussurri, come i mistici, che il pensiero scientifico, matematico in particolare, fornisce interpretazioni profonde e proficue dell’animo umano.Sempre ne L’impronta dell’editore, Calasso scrive: «Le opere religiose e mitologiche del catalogo Adelphi dovrebbero perciò essere viste come indicazione di un tracciato dove, in ogni direzione, ai libri presenti si accompagnano molti libri virtuali, come ombre amiche. E vorrei aggiungere che un buon editore è anche quello nei cui libri queste ombre amiche vengono naturalmente e irresistibilmente suscitate». I cappellini col nome di Fleur Jaeggy al posto del simbolo dei New York Yankees, e Follia di Patrick McGrath in tendenza sui social, testa a testa con foto 3D e tutorial per parlare italiano in corsivo, dimostrano che non solo le opere religiose e mitologiche ma tutto il catalogo Adelphi «naturalmente e irresistibilmente» suscita intorno ombre amiche e si porta dietro libri e altri scritti in formato non libro. Abbia insomma, per tornare all’inizio, la forma di quella cosa impalpabile che chiamiamo presente.