La Stampa, 6 ottobre 2023
Caccia al tartufo
Carpe diem. O meglio, carpe tuber. È iniziata in tutta Italia la stagione del Tuber Magnatum Pico, il tartufo bianco più pregiato e amato dai buongustai. In Piemonte, la raccolta è consentita dal 21 settembre al 31 gennaio, nelle Marche e in Umbria si è partiti l’ultima domenica di settembre, mentre in Toscana la nuova legge regionale ha posticipato il via al 1° ottobre. Ma a dire il vero, ai tartufi bianchi non importa nulla del calendario ufficiale. Quel che conta sono il terreno e le condizioni climatiche, che devono essere favorevoli. E che purtroppo, con l’aumento dei periodi di siccità, l’innalzamento delle temperature, i disboscamenti e l’incuria, lo sono sempre meno.
Sulle colline di Langhe, Roero e Monferrato, dove oggi ad Alba s’inaugura la 93ª Fiera internazionale del tartufo bianco alla presenza del ministro della Difesa, Guido Crosetto, la sintetizzano così: «Ormai si vendemmia in estate e si va per trifole in inverno. Se a inizio ottobre sembra ancora di essere ad agosto e a fine gennaio non c’è un centimetro di neve, i tartufi si adattano e crescono ben oltre le date stabilite dai tecnici della Regione». È quel che è successo nel 2022, uno degli anni più neri per il diamante bianco. «Il cambiamento climatico sta scombussolando i modelli agricoli e gestionali in tutto il mondo, difficile pensare che il tartufo ne resti fuori – osserva Antonio Degiacomi, presidente del Centro nazionale studi tartufo che ha sede ad Alba -. Ma quest’anno va un po’ meglio: le piogge in primavera e a fine agosto non sono affatto mancate e anche nelle scorse settimane c’è stato qualche temporale che ha messo di buonumore i 4 mila cercatori attivi in Piemonte, che diventano 70-80 mila nell’intera penisola». Anche le quotazioni sono migliori rispetto a 12 mesi fa: 300 euro l’etto, ma i prezzi sono destinati a salire.
D’altra parte, il Tuber Magnatum Pico è una formidabile sentinella per comprendere lo stato di salute del bosco: se non c’è acqua, se il terreno è inquinato, se gli alberi non sono in forma, puoi scavare quanto vuoi, ma non ne troverai neanche l’ombra. Per il prezioso e sensibile fungo ipogeo che ama le nebbie autunnali, non c’è nulla di peggio di un suolo secco e duro. «La pioggia è un elemento fondamentale per permettere al tartufo il giusto sviluppo – spiegano dal Centro nazionale studi tartufo -. Infatti, è necessario che il terreno di produzione sia umido sia nelle fasi di germinazione, sia in quella di maturazione. Solo così, dopo circa un mese e mezzo si può raccogliere un buon tartufo, che sorge spontaneo e non può essere coltivato».
Tuttavia, ci sono anche segnali positivi. Se fino a pochi anni fa la figura classica del «trifolao» era quella di un anziano e un po’ burbero cercatore con la camicia a scacchi e il suo fedele cane, oggi è sempre più facile scovare per i boschi giovani esperti e professionisti che si occupano non solo di deliziare il palato dei gourmet, ma anche di analizzare il suolo, tutelare e valorizzare piante e terreni. Perché per fare un tartufo, ci vuole pur sempre un albero. Ma l’albero va custodito, insieme con il fragile ambiente naturale che caratterizza le aree tartufigene. Alla Fiera di Alba, l’evento più longevo e rinomato del settore, stanno tentando di dare vita a quella che potremmo definire l’era del «tartufo 2.0», in cui il cercatore è un ecologista che rispetta il bosco e le regole della ricerca, dando un contributo tangibile al mantenimento della biodiversità e degli ambienti naturali. Ma la strada è ancora lunga. —