la Repubblica, 6 ottobre 2023
Se Putin vince la guerra
Volodymyr Zelensky comincia ad avvertire qualche crepa nel muro della solidarietà occidentale all’Ucraina, che fino a poco tempo fa sembrava solidissimo. La sua “improvvisata” a Granada, dove sono riuniti i leader europei, è apparsa un tentativo di scacciare i fantasmi: quelle “voci molto strane”, come le ha definite, che si aggirano nei palazzi della politica. Non soltanto nel Congresso americano, dove i fantasmi si sono materializzati dimissionandone lo Speaker, accusato da un manipolo di ultras di trescare con Biden sugli aiuti a Kiev. Ma anche nei Parlamenti europei, che finora lo avevano sempre osannato a ogni sua apparizione, fisica o in video conferenza. Perfino in quello della Polonia, inossidabile alleato dell’Ucraina, ma sensibile alle rimostranze dei contadini per la concorrenza del grano ucraino. Per non parlare delle urne della Slovacchia, che hanno premiato un filo-russo, amico di Putin, che si allinea così alle posizioni dell’ungherese Orbán.
Zelensky a Granada si è detto fiducioso che alla fine il sostegno americano non verrà meno e che il piano di Biden di un aiuto addizionale di 24 miliardi di dollari all’Ucraina passerà. Ma il primo a non essere così certo è proprio il presidente americano, il quale ha annunciato per i prossimi giorni un “importante discorso” sul tema. I favoriti alla successione di Kevin McCarthy al Congresso, a cominciare da Jim Jordan, sono tutti feroci critici degli aiuti all’Ucraina. Il partito repubblicano sembra in preda a una deriva filo-russa. Secondo i sondaggi più di otto elettori repubblicani su dieci sostengono candidati alla presidenza – Donald Trump, Ron DeSantis e Vivek Ramaswamy – che sono per staccare la spina del sostegno a Kiev. La loro tesi è che la guerra in Ucraina distoglie l’America dalla vera minaccia, che è la Cina. Qualche osservatore parla già di “un ritorno dell’isolazionismo americano”.
Il capo della diplomazia europea Josep Borrell ieri a Granada ha detto che la sua speranza, e “quella di tutti coloro che non vogliono che Putin vinca questa guerra”, è che gli Stati Uniti “ci ripensino e continuino a sostenere l’Ucraina”, aggiungendo che “l’Europa non può rimpiazzare gli Stati Uniti”. Ma se il Congresso americano non sarà capace di opporsi alla prepotenza dei fanatici Maga (Make America Great Again), fatalmente il sostegno militare e finanziario dell’Europa, Gran Bretagna inclusa, all’Ucraina dovrà superare quello degli Stati Uniti se non si vuole, come dice Borrell, dare partita vinta a Putin.
Ma qui cominciano le dolenti note. Pedro Sanchez, che come padrone di casa presiede le riunioni di Granada, ha detto che Madrid è fermamente in favore dell’inclusione dell’Ucraina, insieme con altri candidati, nell’Unione europea. Ma, secondo uno studio commissionato dalla segreteria del Consiglio europeo e pubblicato ieri in prima pagina dalFinancial Times,l’ingresso dell’Ucraina (oltre a quello di Moldavia, Georgia ealtri 6 Stati balcanici) avrebbe pesanti ripercussioni sul bilancio europeo: “Tutti gli Stati membri dovranno pagare di più e ricevere di meno”. E la fetta più grossa della torta andrebbe proprio all’Ucraina. Per fare un esempio, ben 96,5 miliardi di sussidi all’agricoltura, con una riduzione del 20 per cento degli aiuti destinati agli attuali Stati membri. In vista delle elezioni europee del prossimo anno questi dati rischiano di avere un impatto sugli elettori (si è già visto che cosa è successo in Polonia quando i contadini si sono sentiti minacciati dalla concorrenza del grano ucraino). E quindi di condizionare i candidati, rendendo ancora più pesante quella che ieri, su questo giornale, Stefano Folli ha definito “l’ombra di Putin sul voto europeo”.
Nell’intervista a SkyTg24, due giorni fa, Giorgia Meloni per la prima volta da quando parla di Ucraina ha detto che le “conseguenze del conflitto, impattando sui cittadini, rischiano di generare una stanchezza nell’opinione pubblica”. E non si riferiva agli aiuti militari, sui quali già il ministro delle Difesa Crosetto aveva detto che “non esiste molto ulteriore spazio”. Si riferiva all’inflazione, all’energia, alle migrazioni: tutti temi che toccano le tasche e la vita quotidiana dei cittadini/elettori.
Segnali analoghi arrivano da altri Paesi europei, Germania in testa, senza parlare del già citato allarme per la vittoria del putiniano Fico in Slovacchia, che intanto ha “congelato” gli aiuti all’Ucraina in attesa del nuovo governo.
Anche Putin, che ieri al Forum Valdai di Sochi, ha rilanciato tutti i consueti stereotipi di propaganda e di minacce all’Occidente (doppiato dall’ormai patetico ventriloquo Dmitrij Medvedev), ha problemi di bilancio. L’“operazione militare speciale”, come si è ostinato a chiamarla il ministro delle Finanze Anton Siluanov, ha fatto aumentare le spese militari di tre volte rispetto al 2021, l’anno prima della guerra, e del 70 per cento rispetto a quanto era previsto per l’anno in corso. Ma Putin ha mezzi estortivi che gli consentono di ridurre il peso del costo della guerra: dalla tassazione forzata per gli oligarchi, chiamata eufemisticamente “responsabilità sociale”, alle “donazioni volontarie” che le società occidentali devono pagare quando vogliono lasciare la Russia, per finire con le nazionalizzazioni, che quest’anno hanno toccato ben 17 grandi imprese private. Ma soprattutto Putin non ha problemi di opinione pubblica, ancora meno di rischi elettorali, a differenza di Biden e dei leader europei, per il voto che anche in Russia, come negli Usa e in Europa, avrà luogo l’anno prossimo. Per tutte queste ragioni Zelensky ha ragione di preoccuparsi per i segnali che, nella stessa giornata, arrivano da Granada e da Sochi. Ma oggi, quando parleranno di sostegno all’Ucraina e di allargamento della Ue, i 27 capi di Stato e di governo europei dovrebbero ricordarsi che il costo degli aiuti economici e militari all’Ucraina sarà sempre meno alto di quello politico che l’Occidente pagherebbe se Putin vincesse la guerra.