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 2023  ottobre 05 Giovedì calendario

La “mensa” dei pm che mangiano i politici

Da Forza Italia non si levarono voci per difendere Pietro Tatarella e Fabio Altitonante, quando vennero arrestati nell’ambito dell’inchiesta “Mensa dei poveri”. Oggi è sparita dai giornali (si sa, meglio le carte dei pm che raccontano le loro tesi, rispetto ai fatti poi accertati nei tribunali). Ma, in breve, era l’inchiesta che doveva accertare il diffuso malaffare corruttivo attorno alla figura di Nino Caianiello, ras talmente potente, sebbene privo di ruoli istituzionali, da essere ritenuto dai pm un vero e proprio “sportello” al quale ci si rivolgeva per chiedere favori. “Il Mullah”, lo chiamavano. L’inchiesta venne denominata Mensa dei poveri. Inciso: dove è finito il decreto che vieta i nomi a effetto per le inchieste? La denominazione derivava ironicamente dal nomignolo dato a un ristorante nel quale Caianiello ha confessato (avendo patteggiato) di aver condotto i propri affari. I pm in un primo tempo mettono nel mirino l’obiettivo grosso: Attilio Fontana, presidente della Regione. Salvo poi doverlo archiviare perché con quella vicenda non c’entra nulla. Non si arrendono però. Nel pool che indaga la Mensa c’è anche chi poi ci proverà coi “camici”. Si è visto come è finita. Tra chi invece viene indagato e poi imputato ci sono Fabio Altitonante, consigliere regionale; e Pietro Tatarella, consigliere comunale. Stessa corrente, stessa area, amici da sempre. Campagne elettorali a prendere voti uno per uno in giro per Milano e provincia. Hanno una pattuglia nutritissima di sindaci, assessori, consiglieri. Del resto, da assessore provinciale Fabio Altitonante fu il papà del provvedimento che portò alla creazione di un colosso come Cap Holding. Molti se ne sono scordati, ma non tutti. Nel gruppo, prima di finire loro agli arresti e lui in Fratelli d’Italia, anche Marco Bestetti, oggi in Consiglio regionale e in Consiglio comunale. Vicenda giudiziaria è costellata di dolore. Pietro Tatarella aveva un figlio appena venuto al mondo. Finì in carcere e seppe conquistarsi la simpatia dei detenuti. Qualcosa di più decisivo che una elezione. Scarcerato, confidò agli amici che il segreto era stato il pallone: “Giocavo benissimo a calcio, e tutti mi volevano in squadra”. Fin quando un giorno la moglie Miriam va a trovarlo, come ogni settimana, nel carcere a Opera. Erano i giorni intorno a Ferragosto. E non lo trova. Trasferito a Busto Arsizio, senza che nessuno si fosse neppure degnato di dirlo ai parenti. Un nuovo carcere, una cella minuscola, un compagno che urlava tutta la notte defecando in giro. Orrori e vergogne delle carceri italiane. Intanto Altitonante, ai domiciliari, si confrontava con il silenzio e l’isolamento. “I compagni di mio figlio chiedevano perché il papà stava sui giornali dipinto come un ladro”, racconterà dopo la sentenza. Sui giornali uscivano le loro foto. In bianco e nero, come quelle che si pubblicano per gli incontri dei narcotrafficanti. Sullo sfondo il ristorante Da Berti, storico luogo della politica milanese. Nel loro partito, Forza Italia, tanto silenzio e tanti imbarazzi. L’unica buona notizia venne da sinistra. Galantuomini come Mirko Mazzali e Alessandro Giungi e Pietro Bussolati misero nero su bianco, con comunicati stampa, la loro perplessità per le misure cautelari contro Pietro Tatarella, che intanto si era fatto 60 giorni in regime di massima sicurezza. Fast-forward. Tatarella viene scarcerato nell’estate del 2019. Torna al lavoro di suo padre, oggi fa il falegname e già si è inventato innovazioni nella modalità di produzione e vendita. Subisce due lutti, gravi. Ogni tanto saluta qualche vecchio amico ma sta fuori dal giro della politica. Altitonante invece, dopo il pestaggio mediatico, non ce la fa a tornare al Pirellone. Nel frattempo però si candida sindaco di Montorio al Vomano, in Abruzzo, il paese dei suoi avi. Fa la campagna elettorale con la troupe di “Report” al seguito. Malgrado questo vince. Ora sta pensando al Consiglio regionale dell’Abruzzo, ma chissà. Di certo sarebbe un piccolo risarcimento. Tornando al processo, arriva il momento dell’arringa. Il suo avvocato si chiama Augusto Moretti. È un avvocato. “È il primo a venirmi a trovare ai domiciliari, insieme a Vinicio Nardo”, racconterà Altitonante. Augusto Moretti si appassiona alle vicende di Altitonante e decide di candidarsi sindaco di Peschiera Borromeo. Vince. Ma morirà improvvisamente, ancora giovane, proprio alla vigilia dell’arringa. Dolore chiama dolore. Fino alla sentenza con l’assoluzione per tutti. Tatarella è presente alla lettura della sentenza. Non ha voluto nessuno della sua famiglia. Altitonante invece è rimasto a Milano. Si sentono al telefono. Che cosa vi siete detti? “Niente, abbiamo pianto”. Lara Comi e l’horror vacui Poco altro da raccontare. Cose scontate: i giornali che parlano della condanna di Lara Comi, che in effetti non è riconducibile al “vasto sistema corruttivo”, come pensavano i pm, di Nino Caianiello. Si potrebbe raccontare che adesso, con la condanna di Lara Comi, la politica che ha l’horror vacui si accalcherà a cercare di occupare il suo posto come candidata alle prossime europee, che pareva scontato. Si potrebbe raccontare che, forse, con questa sentenza è anche finita la lunga stagione delle inchieste contro la maggioranza regionale, partita con Mario Mantovani (assolto in secondo grado), proseguita con tutte le inchiestucole sul Covid (più archiviazioni che altro) e conclusa con la Mensa dei poveri. Che forse si sarebbe dovuta chiamare “Mensa dei giornalisti”, visto come si sono ingozzati alle fonti della procura quasi tutti i giornali d’Italia. Ma la conclusione migliore è di Fabio Altitonante: “Ci sono magistrati che guardano le prove e altri che impostano tutto sul vincere o perdere. Questi ultimi non fanno del bene alla giustizia”. Amen.