Il Foglio, 5 ottobre 2023
II brunch è morto
Roma. Il brunch è morto, viva il brunch! Esploso a Roma intorno agli anni Dieci, nell’anno domini 2023 il brunch sembra definitivamente passato di moda. Pensionato. Archiviato. Parliamo di quel pasto anglosassone che unisce la colazione al pranzo (la parola è l’unione tra breakfast e lunch), cui dedicarsi nei giorni festivi, in special modo la domenica. Ideale per chi si alza tardi e appunto vuole unire la colazione al pranzo, con fidanzata e/o amici. C’è stato un periodo in cui sembrava non si potesse trascorrere la domenica senza fare “il brunch”. I più coraggiosi ne azzardavano anche a casa. “Domenica organizzo un brunch in giardino…”.
In città i locali erano presi d’assalto e la prenotazione andava fatta con largo anticipo. Molti però s’improvvisavano, col brunch declinato all’italiana, anzi alla romana. Così negli anni s’è visto di tutto: puntarelle, polpette o polpettone, gateau di patate, supplì, frittini, straccetti, cous cous, roastbeef e via dicendo. Con varianti, a seconda del luogo, compresi gli etnici: il brunch mediorientale, quello cinese, l’indiano o il thai. Erano in pochissimi, invece, a proporre l’originale brunch americano ovvero uova, bacon, bagel, yogurt, succo d’arancia, pancake, sciroppo d’acero e tazzona di caffè. “Da noi il brunch è diventato una sorta di self service stile villaggio Valtur, con le persone che si accalcano per riempirsi piatti all’inverosimile col terrore di restare digiuni, con pietanze cotte magari due ore prima e messe a vegetare sui vassoi. Tutto piuttosto terrificante”, osserva Camilla Baresani, giornalista e scrittrice, autrice di una deliziosa rubrica di ristoranti sul Corriere della Sera.
A Roma, poi, col pranzo della domenica non si scherza. Si va dai genitori o dalla nonna oppure al ristorante di famiglia preferito o, nella bella stagione, si fa un salto al mare per uno spaghetto alle vongole. Ed è quello che sta tornando. “C’è un grande ritorno verso il ‘comfort food’: quei locali che propongono piatti e sapori conosciuti, che fanno casa e famiglia, che ricordano le pietanze che ci cucinavano le nonne e le zie. Posti confortevoli, appunto, senza l’ansia degli stellati, magari all’aperto, con una bella vista. Se devo spendere, meglio farlo per una buona amatriciana piuttosto che accalcarsi davanti a vassoi di cibo improvvisato e discutibile”, continua Baresani.
Vince l’effetto madeleine, dunque. Con il brunch sconfitto dalle fettuccine al pomodoro. Moda che sta passando anche a Milano, come pure il rito dell’apericena, parola talmente abusata da far accapponare la pelle al solo evocarla. Resta valida solo per gli studenti fuori sede, e nemmeno tutti. A resistere sono, invece, quei posti dove il brunch te lo servono a tavola, con pietanze cucinate espresse. Per citarne qualcuno, ci facciamo aiutare dal sito Puntarella Rossa: Le Carrè Francais (naturalmente francese); Blind Pig (decisamente internazionale); Latta (americano e inglese); Pro Loco Trastevere (romanissimo); Le Serre (americano tendenza healty); Bauhaus (Usa con un pizzico di Francia); Ercoli (menù uova o menù salmone); Coromandel (pancakes in pieno centro). “Una decina d’anni fa molto frequentato era il brunch dello chef siciliano Filippo La Mantia all’Hotel Majestic in via Veneto: un brunch di potere dove trovavi il parlamentare, l’imprenditore, il lobbista, il diplomatico, le belle ragazze in cerca di fortuna. Poi La Mantia se n’è andato a Milano ed è finito tutto…”, ricorda Baresani. Ultime tendenze della ristorazione? “Ora va di moda la pizza gourmet – risponde la scrittrice – che spesso è solo un pretesto per farci pagare la margherita 20 euro. Poi, dopo la stagione dell’infestante rucola e dei becchimi (farro, quinoa), siamo in piena epoca burrata, che viene messa ovunque, a sproposito, a coprire gli altri sapori…”. Tornando al periodo d’oro del brunch, un aneddoto divertente riguarda Pietrangelo Buttafuoco, raccontato da Italo Bocchino nel libro Una storia di destra (2011). Invitato a un brunch di alto livello a Palazzo Taverna, il giornalista catanese venne assalito da un amletico dubbio: “Ma a chistu brunch bisogna andare già mangiati…?”.