la Repubblica, 5 ottobre 2023
Il melo di Newton esiste
La versione più celebre dell’episodio della mela che cadendo suggerisce a Newton le leggi della gravitazione universale la dobbiamo a Voltaire, il quale nel 1727, anno della morte di Newton, scrive: «Isaac Newton stava camminando nel suo giardino quando, dopo aver visto una mela cadere da un albero, ebbe il primo pensiero del suo sistema di gravitazione. Come mai la mela cadeva sempre verso il basso e non lateralmente o verso l’alto? Quale era la forza che attraeva irresistibilmente i corpi verso la terra?». Erano queste le domande che, secondo Voltaire, Newton iniziò a porsi subito dopo aver visto la mela cadere.Come tutti, avevo sentito per la prima volta questo racconto alle scuole elementari, e che la mela fosse caduta direttamente sulla testa dello scienziato era qualcosa a cui anche da ragazzino mi riusciva difficile credere. Ero certo che la mela di Newton fosse una specie di storiella leggendaria e non mi riusciva di crederci nonostante a scriverne per primo fosse stato un nome illustre come Voltaire. Tuttavia, Voltaire o meno, se qualcuno mi avesse chiesto di scommettere, avrei senza dubbio puntato sulla fandonia. E avrei perso.Lo scoprii per caso durante una chiacchierata in un pub con un mio collega e amico inglese con il quale ci scambiavamo, con soddisfazione reciproca, una lista di questi racconti immaginari che arricchiscono la storia della scienza. Stavamo enumerando ogni possibile aneddoto, quando decisi di aggiungere: «E poi ovviamente, c’è la storiella della mela di Netwon».«Ma questa non è affatto un’invenzione» – replicò il mio amico, inorridito, «è la sacrosanta verità». Mi limitai a dire che ne dubitavo alquanto, e che se davvero credeva che Newton avesse immaginato le leggi della gravitazione universale guardando una mela cadere, allora non capivo perché dovesse dubitare del fatto che Galileo era davvero salito sulla Torre di Pisa per l’esperimento sulla caduta dei gravi. La stavo mettendo sull’amor patrio, quando il mio amico per troncare la discussione, mi mostrò sul suo telefonino la biografia di Newton di William Stukeley, il quale scriveva che Newton stesso gli avrebbe confermato la veridicità della storia. Ecco le sue parole esatte: «Dopo cena, essendo bel tempo, siamo andati in giardino e abbiamo bevuto del tè, all’ombra di alcuni meli, solo io e lui. In mezzo ad altri discorsi, mi disse che si trovava esattamente nella stessa situazione, di quando gli venne in mente la nozione di gravità: fu provocata dalla caduta di una mela, mentre sedeva in uno stato d’animo contemplativo. Dunque, sebbene non gli fosse cascata sulla testa, sempre di una mela che cascava da un melo si trattava. E questo melo esisteva ancora».La ricerca di questa pianta – forse non l’albero più importante della storia della scienza ma, senza dubbio, il più amato dai fisici – inizia a Woolsthorpe-by-Colsterworth, una specie di Betlemme della fisica. Qui, infatti, il 4 gennaio del 1643, nacque Isaac Newton. Qualunque cosa provenga, o sia in qualche modo venuta in contatto con la casa natale di Newton, che incidentalmente è anche il luogo dove egli elaborò le leggi della gravitazione, come in ogni tradizione religiosa che si rispetti, ha per i fisici proprietà ultraterrene. Un paio di anni fa, una pagina e mezza di carta 220 x 189 mm – 39 righe scritte da Isaac Newton di suo pugno – contenente delle revisioni della prima edizione dei Philoso phiae Naturalis Principia Mathematica è stato venduto da Christie’s a Londra per 1.702.500 sterline. Chiunque voglia possedere una reliquia legata a Newton deve essere pronto a sborsare cifre elevate.Cifre, ovviamente, non nelle disponibilità della stragrande maggioranza degli scienziati. E allora come fare a garantire un pezzo di immortalità a tutti i fedeli sparsi ai quattro angoli del pianeta? Facile, accaparrandosi il melo stesso da cui cadde la fatidica mela. Ma perché tutto funzionasse, bisognava essere certi che il melo fosse davvero quello sotto il quale Newton aveva avuto la sua illuminazione enon unqualunque melo. Una volta certi che il melo di Newton fosse ancora vivo, la sua moltiplicazione clonale sarebbe stata non sono possibile, ma anche estremamente semplice, come ben sa chiunque abbia mai riprodotto un geranio piantandone nel terreno un pezzetto dei suoi rami. Ma si poteva trovare ancora in vita il melo di Newton? Per buona sorte, sì.Il fatto, innegabile, che esistano prove documentali relative all’esistenza del melo di Newton è in gran parte dovuto alla continuità della proprietà di Woolsthorpe Manor da parte della famiglia Turnor dai tempi di Newton fino ai giorni nostri. Verso l’inizio del XIX secolo, più precisamente nel 1806, uno dei Turnor, Edmund, scrive testualmente: «l’albero di melo è sopravvissuto ed è mostrato ai visitatori». Non avete idea del numero di studi che siano stati fatti su quel melo, storto, spezzato, evidentemente molto anziano che ancora si può vedere nel giardino della casa di Newton: esami dendrocronologici, datazioni con il radiocarbonio, ricerche pittoriche che confermassero o meno l’esistenza dell’albero… Oggi, quell’albero, che legittimamente consideriamo il melo di Newton, si è diffuso, attraverso i suoi innumerevoli cloni, presso ogni dipartimento o istituto di fisica che si rispetti. Trovo si tratti di un esempio affascinante di come le piante siano in grado di utilizzare qualsiasi mezzo pur di propagare e diffondere la propria stirpe: acqua, vento, mammiferi, uccelli, pesci, ogni potenziale vettore di diffusione trova un suo uso nel mondo vegetale. Alcune piante utilizzano il vento per viaggiare nel mondo, altre si fanno trasportare dalla pelliccia degli animali o dallo stomaco di un uccello. Il melo di Newton adopera i fisici: ha trovato che fossero degli ottimi vettori e non si è lasciato sfuggire l’occasione di utilizzarli.