Corriere della Sera, 5 ottobre 2023
Leone Magiera ha 89 anni. Pianista, direttore d’orchestra, insegnante di prim’ordine. È stato fondamentale nella crescita artistica di due giganti come Luciano Pavarotti e Mirella Freni, che è stata sua moglie per 40 anni
Leone Magiera ha 89 anni. Pianista, direttore d’orchestra, insegnante di prim’ordine. È stato fondamentale nella crescita artistica di due giganti come Luciano Pavarotti e Mirella Freni, che è stata sua moglie per 40 anni. Luciano e Mirella hanno avuto la stessa balia. Un trio di grandi modenesi.
Quando entrò la musica nella sua vita?
«Presto, ho cominciato a studiare pianoforte a 6 anni. Il giorno non posso dimenticarlo, era il 10 giugno 1940, l’Italia entrò in guerra. Venivo da una famigli di giuristi e di proprietari terrieri. Avevo ascoltato alla radio suonare Alfred Cortot e scoppiò la passione. Ho studiato composizione a Bologna e insegnato canto per 30 anni a Parma. Poi direzione d’orchestra».
Ma il podio l’ha frequentato poco.
«Mi faceva paura il pubblico, soffrivo di attacchi di panico. Così ho preso ad accompagnare al piano i grandi cantanti, Shirley Verrett, Nicolai Gedda, Piero Cappuccilli, Katia Ricciarelli, Cecilia Gasdia».
E Big Luciano.
«Con Luciano abbiamo fatto mille concerti insieme in giro per il mondo. Ci siamo conosciuti alle medie, giocavamo a calcio nel cortile dei Salesiani. Lui era un discreto centravanti».
Già sovrappeso da ragazzo?
«Diciamo robusto. Io ero portiere ma avevo paura di farmi male alle mani per via del pianoforte».
Come lo ricorda Pavarotti?
«È difficile descriverlo, siamo stati così amici, era semplice, giocoso. Un epicureo. Ho paura dell’aereo, una volta per andare in Cina mi tenne la mano tutto il tempo. Negli ultimi anni si credeva esperto di tutto e dispensava consigli a chiunque, anche sulle fidanzate da scegliere. Parlavamo delle sue grandi passioni, musica, calcio e cibo».
È vero che una volta mangiò 25 portate?
«Sì, dopo una recita de I Puritani a Bologna, il proprietario del ristorante ci disse che aveva 53 tipi di primi piatti e Luciano disse: portameli. E ne mandò giù metà. Se mangiava molto si sentiva tranquillo. Arrivò a pesare 160 chili, una volta fu ricoverato. Era autoironico, faceva disegnini in cui si ritraeva in forma di elefante».
Come ha vissuto da amico i travagli matrimoniali di Luciano?
«Con Nicoletta Mantovani non andavo molto d’accordo, lei non lo lasciava studiare, non calibrava le cose, c’era sempre un’intervista da fare, non sapeva nulla di lirica, mentre Adua, la prima moglie, è stata importante nella sua carriera».
Cosa pensava di «Pavarotti & Friends», la svolta alla canzone?
«Alla fine lo aiutai, non conoscendo la musica aveva problemi ritmici, faceva fatica ad andare a tempo».
Che il tenore del secolo non sapesse leggere la musica venne fuori sul «Corriere».
«Lo ricordo bene, a Città di Castello lei venne da me vedendo Luciano che alle prove leggeva le arie sul gobbo tv e non sullo spartito. Anche Mirella Freni, lo stesso. Si sono attaccati a me, gli insegnavo le opere frase per frase, andavano a memoria. Cantare Celeste Aida è semplice musicalmente. Se fu un cruccio? Neanche tanto. Luciano aveva un grande orecchio e una feroce determinazione. Si parla sempre della sua bella voce, quello che non si dice mai abbastanza è che era un grande interprete. Quando dice nel Ballo in maschera Amici miei, aveva una libertà espressiva importante. Un grande maestro che lavorava alla Scala (dove io fui segretario artistico), Campogalliani, diceva: preferisco allievi che non sanno leggere la musica, perché se la sanno male faccio più fatica».
La rivalità con Domingo?
«Placido lo rispettava molto, e così Carreras. Obtorto collo, consideravano Luciano più importante di loro. C’è questo mistero sulla vera età di Domingo, Adua mandò amici in Messico e in Spagna per trovare la data di nascita. Mica ci riuscirono. Non ho mai sentito Luciano, che non ha avuto eredi, parlare male di qualcuno. I tre tenori? Sono un purista, ho sempre rifiutato di dirigerli, cantare un brano d’opera in tre mi sembra assurdo».
Come conobbe la sua ex moglie Mirella Freni, scomparsa tre anni fa?
«Conoscevo suo zio che abitava di fronte a me, era poco più che bambina, dalla finestra la sentivo cantare la scena della pazzia della Lucia. A 12 anni (lei aveva pochi mesi meno di me) ci esibimmo insieme, lei cantava e io suonavo il piano, a Modena, nella parrocchia di Sant’Agostino».
È vero l’aneddoto delle dieci bacchette da direttore che le regalò per un suo compleanno con uno strano bigliettino?
«Con nostra figlia Micaela scrisse: queste sono da spezzare. Diceva che ero troppo buono, che col mio nome avrei dovuto sbranare la gente. Mirella era cattivella, si sapeva difendere bene, aveva una personalità forte».
Perché finì il matrimonio?
«Un po’ per gelosia sua. Non sono mai stato un marito molto fedele. Ci fidanzammo a 16 anni, siamo stati troppo tempo insieme. Sono risposato con Lidia La Marca, un noto medico di Bologna, abbiamo avuto una figlia tardi, ha 25 anni, io ne avevo 64».
Lei sembra un emiliano atipico.
«La timidezza (anche oggi che sfioro i 90 anni) mi ha danneggiato. Ho sempre avuto sbalzi d’umore. Ma sono un gran lavoratore e cerco di aiutare i giovani cantanti e artisti. Il 5 a Milano presentiamo il vincitore della prima edizione del premio che porta il mio nome».
Stavamo dimenticando i grandi direttori con cui ha lavorato.
«Come maestro accompagnatore al piano. A Salisburgo sono stato per cinque anni accanto a Karajan, Luciano prendeva l’aereo privato per andarlo a sentire in prova. Conobbi Furtwängler, era anziano e un po’ fuori di testa anche fisicamente, pendeva da una parte col busto, il primo violino doveva sostenerlo, al Don Giovanni si ammalò Ghiaurov e mi chiese di cantare al suo posto. Ricordo Kleiber nel leggendario Otello alla Scala, un genio, pensare che uno dal loggione urlò povero Verdi. Kleiber aveva protestato tutti i pianisti collaboratori, mi chiamarono all’ultimo momento, lui diresse quaranta pagine senza mai fermarsi, poi ripartì dalla pagina tre senza dirmi nulla, per fortuna conosco l’Otello a memoria. Abbado era nato il mio stesso giorno, 26 giugno, da ragazzi partecipammo a un concorso pianistico, io arrivai quarto, lui terzo. Mi disse, non ho vinto, mi dedico al podio, vado a studiare direzione d’orchestra a Vienna con Swarowsky».
Lo spettacolo più bello?
«La Bohème di Zeffirelli diretta da Karajan nel 1963 alla Scala. C’erano Mirella Freni e Luciano che non era ancora una celebrità e non figurava nel primo cast, era il doppio di Gianni Raimondi. Alle prove piangevamo commossi tutti e tre».
Ha rimpianti?
«Mah, cerco di vivere meglio che posso. Come pianista pensavo di avere delle doti. La paura del pubblico mi ha frenato. Come accompagnatore potevo stare un passo indietro».