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 2023  ottobre 05 Giovedì calendario

La regola sbagliata sul debito

Dieci anni fa, alla fine della crisi finanziaria iniziata nel 2008, molti Paesi si ritrovarono con livelli elevati di debito pubblico, debito che era stato emesso durante la crisi, in gran parte per salvare le banche. Negli stessi anni, vi fu una revisione delle regole fiscali europee, il cosiddetto patto di Stabilità. Il ministro delle finanze tedesco, Wolfgang Schäuble, insistette per una regola in particolare: quella che prevedeva una riduzione graduale del rapporto debito-Pil fino a portarlo al livello indicato nel trattato di Maastricht, 60 per cento del Pil entro 20 anni.
Una conseguenza di quella regola è che la velocità della discesa del rapporto debito-Pil – un ventesimo della distanza dal 60 per cento sull’arco di un ventennio – non dipende dalle condizioni dell’economia: il debito deve scendere alla medesima velocità in anni di crescita e in anni di recessione. Allora nessuno seriamente obiettò e anche il governo italiano accettò la nuova regola. Ma fu un errore che determinò la gravità e la durata della recessione che colpì molti Paesi, il nostro in particolare, negli anni seguenti. Quando infatti nel 2011 fummo colpiti da un grave choc finanziario, e lo spread salì fino a 500 punti innescando un rallentamento dell’economia, la nuova regola ci obbligò a continuare il cammino di austerità anche se eravamo entrati in recessione.
F ra l’altro, la regola non aiutò neppure la discesa del rapporto debito-Pil perché qualunque cosa facesse il governo per contenere la crescita del debito era vanificata dalla caduta del Pil. Il rapporto, che era 120 nel 2010, raggiunse 133 nel 2013.
I governi cambiano, ma dalla storia si continua a non imparare. Nel nuovo patto di Stabilità che i ministri dell’economia dell’Ue stanno scrivendo in queste settimane, potrebbe tornare la «regola di Schäuble». Che questo possa accadere, ancora una volta quando potremmo essere alle soglie di una recessione, è particolarmente grave. Il ministro Giorgetti dovrebbe impegnarsi ad evitarlo.
Il negoziato sulle nuove regole è in corso. Il testo ora in discussione è un compromesso proposto dalla ministra delle finanze spagnola, Nadia Calviño. La struttura delle nuove regole riflette la proposta iniziale della Commissione europea, una proposta, come ho scritto più volte, quasi «rivoluzionaria» e per la quale dovremmo essere grati al nostro Paese che ha partecipato alla stesura e al commissario Gentiloni che molto si è speso per convincere i suoi colleghi. La proposta dice semplicemente che ogni Paese deve proporre un piano di riduzione del debito che lo porti, entro 4 o 7 anni – l’orizzonte dipende da quante e quali riforme il Paese si impegna a fare – ad un livello del rapporto debito-Pil che sia «sostenibile». La sostenibilità è valutata secondo una metodologia che molti (agenzie di rating, banche centrali, Fondo monetario internazionale, etc) usano per valutare il debito di un Paese, e che comunque deve essere convalidata dalla Commissione europea.
La conseguenza importante è che il livello di lungo periodo del rapporto debito-Pil cui un Paese deve tendere non è né lo stesso per tutti, né costante nel tempo. Dipenderà dalle caratteristiche specifiche di ciascun Paese e dalle riforme che sta attuando. Ciò che conta, inoltre, è il punto di arrivo, 4 o 7 anni. In questo intervallo di tempo il rapporto debito-Pil può fluttuare, ad esempio può salire durante una recessione, purché si mantenga l’impegno a raggiungere il punto terminale.
La nuova regola cioè non è «pro-ciclica», non chiede che un Paese attui una contrazione fiscale durante una recessione.
La proposta di Nadia Calviño, come detto, è un compromesso. Essa include, oltre alla regola illustrata sopra, anche una «clausola di salvaguardia» evidentemente chiesta dalla Germania. Questa prevede che «per Paesi il cui piano non preveda che il rapporto debito-Pil scenda sotto il 60 per cento entro la fine del programma (cioè entro 4 o 7 anni), e/o il deficit annuale superi il 3%, l’aggiustamento fiscale debba garantire comunque una riduzione media annua minima del rapporto debito-Pil di almeno un X per cento lungo tutto l’arco del piano» (dove l’ammontare dell’X rimane da decidere, e potrebbe essere un numero vicino a mezzo punto di Pil l’anno).
Poiché alcuni Paesi (come Francia, Italia, Grecia e altri) partono da livelli del rapporto debito-Pil che rendono praticamente impossibile raggiungere il 60 per cento anche entro 7 anni, oppure, è il caso della Francia, hanno un deficit superiore al 3%, questa clausola diverrà lo standard della nuova regola fiscale. In altre parole saremmo tornati ad una velocità di discesa del debito uguale per tutti e potenzialmente pro-ciclica. Per questi Paesi si tornerebbe alle vecchie regole. Questo varrebbe anche per l’Italia poiché, sebbene il nostro deficit dovrebbe presto scendere sotto il 3%, il valore terminale del nostro debito non scenderà mai sotto il 60%.
A fronte di queste clausole le nuove regole dovrebbero sottrarre dal debito che rileva nei calcoli, quello creato per finanziare investimenti pubblici collegati a programmi europei, come il Pnrr. Era una richiesta avanzata da Francia, Portogallo e Italia, e dai Paesi Baltici per le spese relative alla difesa. Se venisse accettata potrebbe essere un risultato importante. Ma farebbe davvero la differenza, in particolare una differenza che giustifichi il ritorno ad una regola pro-ciclica? Io penso di no. Immagino infatti che sia impossibile risalire al debito creato per finanziare investimenti collegati a programmi europei 20 o 30 anni fa. Perciò la clausola farà riferimento solo al futuro. Quindi non modificherebbe, se non marginalmente, il livello iniziale del nostro debito e quindi non renderebbe comunque possibile raggiungere il 60%.
Rimarremmo quindi soggetti al vincolo di una riduzione minima annua del rapporto debito-pil, cioè continueremmo ad essere soggetti ad una regola pro-ciclica. La ministra Calviño ha annunciato una nuova proposta per la prossima settimana. Ma se questa non si discostasse significativamente da quella oggi in discussione l’Italia dovrebbe chiedere che si torni alla proposta iniziale della Commissione. Un altro decennio soggetto a regole fiscali recherebbe danni molto rilevanti alla nostra economia.