Corriere della Sera, 4 ottobre 2023
Intervista a Giusy Versace
Giusy Versace è per sua ammissione una «combina guai». Ma questa volta, giura, non ha tutte le colpe. Per esempio: «Non ho perso il vizio di mettere le protesi alle 7 del mattino e levarle all’una di notte». Non proprio il massimo per una biamputata dal 2005, dopo un incidente automobilistico sulla Salerno-Reggio Calabria che le tranciò di netto entrambe le gambe. Aveva 28 anni. Avrebbe potuto, legittimamente, piangersi addosso. E invece non ha sprecato nemmeno un giorno, di quelli arrivati dopo. È stata la prima atleta italiana a correre con doppia amputazione agli arti inferiori, è stata la prima concorrente senza le gambe a vincere un’edizione italiana di Ballando con le Stelle, si è lanciata dal Campanile di San Marco, ha fatto sci nautico, è andata sullo scooter, ha pubblicato due libri, ha fatto una tournée teatrale. Tra l’altro, è una parlamentare: già deputata, ora è senatrice della Repubblica. L’ultimo intergruppo parlamentare per la disabilità lo ha formato lei.
Giusy, anzitutto come sta? Abbiamo visto le sue foto su Instagram dal Policlinico Gemelli di Roma.
«Diciamo bene, un po’ Fantozzi con la nuvoletta sulla testa... Mi dimentico che ho due gambe finte e voglio sempre fare cose che nemmeno i comuni mortali fanno. Come dice mio fratello: per fermarmi, mi devono ricoverare».
Quando è successo?
«Il 25 settembre, lunedì. Sarei dovuta partire con mia mamma per Lourdes, per i 120 anni dell’Unitalsi, l’associazione della quale sono volontaria. Appuntamento a Fiumicino: lei da Reggio Calabria e io da Milano».
E invece?
«Mi sono svegliata con una specie di arancia in un moncone. È da agosto che mi dava problemi. Sono già stata operata ai monconi tre anni fa al Cto di Milano, perché purtroppo ho ancora schegge dall’incidente e ogni tanto si infiammano. Allora ho mandato una foto al mio medico e lui mi ha intimato di andare subito a fare una lastra».
Così è finita al Gemelli.
«Sì, e il trolley per Lourdes è servito per la degenza. La mia eroica mamma è passata al volo nella mia casa romana a prendere qualche altra cosa e poi si è ricoverata con me. Mi hanno operata giovedì. Ieri (lunedì, ndr) mio fratello è venuto a prendermi e mi ha riportato a Milano. Mamma è qui ad aiutarmi: senza di lei non potrei fare niente».
E Lourdes?
«Appena possibile tornerò, per dire grazie un’altra volta. La Madonna non ha voluto che partissi. Pensi alla benedizione di avere mia madre con me».
Quando è nato l’impegno per l’Unitalsi?
«Nel 2006, un anno dopo l’incidente. Andai come pellegrina. Poiché non sono una lucertola, so che le mie gambe non ricresceranno, dunque non volevo un miracolo, ma solo dire grazie: ero ancora viva. Lì finalmente ho pianto e ho chiesto a voce alta: perché a me? Ma subito ho fatto il cambio di prospettiva: perché non a me? Poi, sentendomi inutile, ho chiesto di poter aiutare i volontari dell’Unitalsi alla responsabile per la Calabria, Amelia Mazzitelli, che purtroppo non c’è più».
Lei cosa le fece fare?
«Mi assegnò al refettorio. Dovevo preparare caffè, spalmare la Nutella sulle fette biscottate, giocare a carte con i malati. Mi sembrava di non aver fatto nulla, ma alla fine questi ragazzi mi ringraziarono per il tempo, il sorriso, gli scherzi. Così ho capito il valore di quanto fatto e da allora non ho mancato un anno».
Ora si darà una calmata?
«I medici mi hanno cazziata. Mi hanno detto che devo vivere part-time. Come si fa?».
Si goda il fidanzato! È sempre lo stesso, Antonio Magra?
«E chi lo molla? Santo subito! Un altro come lui dove lo trovo? Io sono adrenalinica, mi butto nelle cose, una come me la pianterei subito. Lo aspetto a giorni».
Perché non vi sposate?
«Lui vive a Catania e io a Milano, forse per questo stiamo ancora insieme. Non ci siamo mai posti il problema, non è mai stata la priorità. E io non ho mai sentito l’orologio biologico, sono troppo impegnata a vivere, non mi piace programmare le cose. Però, certo, mai dire mai».
Quanto tornerà in Senato?
«Navigo a vista: sto cercando di fare di nuovo amicizia con la pazienza, quella vecchia amica che non vedevo da tanto. Mi ha commossa vedere tutti i messaggi di affetto che mi sono arrivati, non ho ancora finito di leggerli».
Le hanno scritto anche i tre poliziotti che la soccorsero in autostrada 18 anni fa?
«Sì. Mi hanno detto: ma la finisci di combinare guai?».
In quanto si riprenderà?
«Ho una bella ferita, non so quando potrò rimettere la protesi. Temo di doverla anche rifare. Forse tra un mese, un mese e mezzo».
Promette di rallentare?
«Eh, sono costretta! Devo imparare ad ascoltare di più il mio corpo. Però il freno a mano non posso promettere di tirarlo. La vita è troppo bella!».