Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 04 Mercoledì calendario

La potenza delle Birkenstock

C’è una celebre foto di Kate Moss che segna un prima e un dopo per la sua carriera, e per le Birkenstock. La ritrae sedicenne, ancora sconosciuta, sulla spiaggia inglese di Camber Sands con la sigaretta in mano, senza trucco, un maglione sopra il bikini e le Birkenstock ai piedi. Apparve sulla copertina di The Face, fu il servizio che la consacrò e inventò un look che diventò comune negli anni Novanta. Mai nessuno, prima di allora, avrebbe associato le Birkenstock con la parola moda. Dopo, lentamente, sì.
La prossima settimana Birkenstock si quota a Wall Street. E sarà, con la capitalizzazione dell’azienda che ha raggiunto i 9 miliardi e un’offerta iniziale che porterà alle sue casse 1,6 miliardi, il terzo maggiore debutto in Borsa dell’anno. Non male per un’azienda tedesca che produce suole di sughero, se non fosse che Birkenstock è dal 2021 nell’orbita di Lvmh. I francesi con la finanziaria L Catterton ne controllano la maggioranza, e il figlio di Bernard Arnault, Alexandre (dopo Musk, sono pur sempre gli Arnault la dinastia più ricca del mondo) entrerà nel consiglio di amministrazione. A riprova di quanto il mondo del lusso si è espanso con la globalizzazione e i social, tanto che Lmvh è tra le pochissime aziende europee a poter competere con i giganti americani.
Le Birkenstock si vendono oggi in 25 milioni di paia all’anno. Fa nostalgia pensare ai tedeschi che calavano sulla riviera romagnola con i sandali e il calzino bianco ai piedi, guardati di traverso se non un po’ compatiti. O anche ripensare che solo dieci anni fa, sui traghetti per la Grecia, quando già cominciavano a diffondersi dapertutto, giuravamo che mai avremmo indossato quella scarpa rozza, salvo metterla oggi – per la sua comodità – come inseparabile compagno in valigia e usarla ovunque in città.
Eppure anche la Birkenstock, non fosse altro perché è nata nel 1774 a Langen-Bergheim, ha avuto diverse vite. A lungo le sue fabbriche realizzavano scarpe chiuse e prodotti ortopedici. Il primo sandalo nasce solo nel 1962, e poco dopo negli anni Settanta arriva il modello Arizona, tuttora il più venduto. È il passaggio in America che però conferisce al «sandalo tedesco» uno status identitario. A portare le prime Arizona in California fu Margot Fraser, una tedesca trapiantata a San Francisco che durante una vacanza in patria, dolorante per le vesciche e i dolori ai piedi, fu consigliata da un medico di provare le Birkenstock. Guarita, e conquistata, ne acquistò la licenza per venderle in America, ma il ritorno a casa fu un fiasco. «Sono la cosa più brutta che abbiamo mai visto, nessuno le indosserà mai», le rispondevano i negozianti e infatti non trovò distributori. Fu così che le piazzò nei negozietti di cibo salutista della Baia, che cominciarono a attrarre studenti e hippy: e da lì si diffusero a San Francisco – insieme alla voglia di libertà di una generazione di pacifisti, femministe e attivisti Lgbt che ricusavano i reggiseni e i tacchi, a vantaggio di gonnellone e sandali. La controcultura aveva trovato un simbolo.
Ma, foto di Kate Moss a parte, è solo negli ultimi dieci anni che il fenomeno è veramente esploso. E se l’alta moda è un business maledettamente serio, come insegna Miranda-Meryl Streep nel Diavolo veste Prada alla sprovveduta stagista Anne Hathaway (che si prende troppo sul serio per curarsi di come si veste, però questo succedeva oltre dieci anni fa, prima dei social), è al genio di Phoebe Philo che viene attribuita la definitiva esplosione. Nel 2013, da Céline, mette in passarella con il suo snobismo intello-chic le Birkenstock foderate di pelliccia. Ed è subito mania. Il resto sono numeri. Così sdoganate, così universali queste ciabatte che Andy McDowell ne indossa un paio di fosforescenti sotto il vestito di gala, quando nel 2021 ritira il suo primo Oscar.
Certo, va detto che la Birkenstock è un’azienda complessa. Ha 800 linee di calzature, prodotti ortopedici, linee per il sonno: se vale 9 miliardi è perché ha intercettato il trend salutista molto prima di altri, usa adesivi ecologici dagli anni Ottanta, si affida alle collaborazioni. Oggi è, con la birra, forse la più riconoscibile icona tedesca. Tanto che quando Barbie, nelle celebre scena del film di Greta Gerwig diventa umana, scende dalle punte e indossa le Birkenstock.