Corriere della Sera, 4 ottobre 2023
Intervista al nuovo ambasciatore Usa Jack Markell
ROMA Per il governo americano Giorgia Meloni «ha superato la prova del budino». Un anno fa la vittoria del centrodestra in Italia aveva suscitato preoccupazioni, se non ansie, anche alla Casa Bianca. Oggi il nuovo ambasciatore Usa in Italia, Jack Markell, nota come «i fatti abbiano dimostrato» quanto la relazione tra Washington e Roma sia rimasta «forte». Gli americani, insomma, hanno «assaggiato» il nuovo esecutivo italiano e sono soddisfatti.
Markell ci riceve nella sua residenza, a Villa Taverna, per la prima intervista a un quotidiano da quando si è insediato, il 26 agosto 2023. Spende qualche minuto per una chiacchiera più personale. Ha 62 anni, da sempre militante del Partito democratico. È nato nello stesso Stato di Joe Biden, il Delaware, dove ha ricoperto la carica di governatore dal 2009 al 2017. Racconta di aver conosciuto sua moglie Carla «all’asilo». «Veniamo da famiglie sicuramente non ricche. Abbiamo fatto tutto insieme. Tranne una volta: durante una delle tante campagne elettorali, esasperata, prese i nostri due figli e si rifugiò per un breve periodo proprio in Italia».
Le elezioni in Slovacchia hanno premiato un leader, Robert Fico, contrario a inviare altri aiuti all’Ucraina. A Washington il Congresso ha rifinanziato l’amministrazione, senza destinare un solo dollaro a Kiev. Che cosa dobbiamo aspettarci ora?
«Per prima cosa, però, mi lasci dire che Italia e Stati Uniti condividono un impegno molto chiaro per chiedere conto delle loro azioni a Putin e alla Russia, per essere sicuri che l’Ucraina abbia quello che occorre per difendersi. Tutto ciò è di straordinaria importanza perché se Putin dovesse avere successo, sarebbe incoraggiato, insieme ad altri leader, ad agire in violazione della Carta fondamentale dell’Onu e quindi a occupare, senza alcun diritto, territori di altri Stati. Collocherei in questo contesto il caso della Slovacchia: è stata finora un importante alleato della Nato e noi crediamo che continueremo a lavorare insieme. Ma quando pensiamo alla Slovacchia o ad altri Paesi, dobbiamo ricordare che il presidente Biden ha messo insieme una coalizione molto forte. Inoltre ha appena dichiarato che noi staremo con l’Ucraina per tutto il tempo necessario. E la maggioranza dei parlamentari, compresa la leadership di democratici e repubblicani, ha affermato la stessa cosa. Il presidente è stato molto netto e non saprei dirlo meglio di quanto abbia fatto il vostro ministro degli Esteri, Antonio Tajani, l’altro giorno a Kiev: non ci può essere pace, senza giustizia».
Lei è molto soddisfatto della relazione con il governo italiano. Ma un anno fa la vittoria di Giorgia Meloni aveva suscitato allarme a Washington. Che cosa è cambiato?
Capiamo bene
la sfida sull’immi-grazione che dovete fronteggia-re e siamo favorevol-mente colpiti dall’energia che Meloni mette nel convincere l’Europa che l’Italia non va lasciata sola
«Beh, c’è stata quella che negli Stati Uniti chiamiamo la prova del budino. La premier Meloni ha appena compiuto una visita di grande successo nello Studio Ovale. La nostra relazione con l’Italia è sempre stata straordinariamente forte. Forse anche perché negli Usa vivono 18 milioni di cittadini di origini italiane. E ogni anno 6 milioni di americani visitano il vostro Paese. L’Italia si è dimostrata, ancora una volta, un’ alleata affidabile. E certamente Giorgia Meloni si è rivelata una solida roccia nel sostegno all’Ucraina».
Il governo italiano sarebbe pronto a uscire dalla «Via della Seta», l’accordo economico-commerciale con la Cina. Perché gli Stati Uniti considerano così pericolose le relazioni con Pechino?
«Sarà l’Italia a decidere che cosa fare di quel Memorandum. Osservo solo che le statistiche mostrano che non ha funzionato per niente. Anzi altri Paesi europei, nel frattempo, hanno registrato maggiori incrementi nel commercio con Pechino. Per quanto ci riguarda, osservo che persino nel documento sulla Strategia della Sicurezza nazionale sono indicate aree in cui si deve collaborare con la Cina. Dal cambiamento climatico alle pandemie. Problemi che nessuno può risolvere da solo. Poi esistono settori in cui siamo più competitivi. Infine credo che molti Paesi europei e gli Usa siano d’accordo sulla necessità di diversificare alcune catene di approvvigionamento strategico. Quindi non vedo grandi differenze di approccio alla Cina tra noi e l’Ue».
Da anni l’Italia chiede un maggior impegno americano nel Mediterraneo. Per esempio per stabilizzare la Libia o dare una mano alla Tunisia, in modo da frenare i flussi migratori...
«Gli Stati Uniti capiscono molto bene la sfida sull’immigrazione che deve fronteggiare l’Italia. Ce l’abbiamo anche noi al confine meridionale. In realtà ci consultiamo ripetutamente con il vostro governo sia per quanto riguarda la Libia che la Tunisia. Condividiamo la ricerca di un percorso per risolvere la crisi in Libia. E abbiamo preso nota e siamo rimasti favorevolmente colpiti dall’energia che la presidente del Consiglio Giorgia Meloni sta mettendo in campo per coinvolgere i Paesi del Nord Africa e convincere il resto d’Europa che il tema dell’immigrazione non può ricadere sulle spalle di un solo Stato».