Corriere della Sera, 3 ottobre 2023
shh parla il guru
Quattromila persone stipate in un palazzetto ad ascoltare un guru indiano sono l’elefante in mezzo alla stanza. Per quel che voglio dire qui, non importa se il guru di Milano sia il nuovo Osho o l’ennesima Wanna Marchi. Quella folla variegatissima, e non liquidabile con una smorfia, è il sintomo di un bisogno generato da un malessere non solo economico, ma esistenziale. Fa fatica a capirlo la cultura ufficiale che, impregnata com’è di illuminismo, crede solo nella mente e in tutto ciò che si può misurare. Fa fatica a capirlo la scuola: i nuovi manuali di filosofia dedicano quasi più spazio al materialista Democrito che all’idealista Platone, il quale da venticinque secoli si ostina a ripeterci che esiste qualcosa di non percepibile dai sensi. Ma fa fatica a capirlo anche la religione, altrimenti non si spiegherebbe perché ha rinunciato a parlare di temi spirituali per concentrarsi su quelli sociali. E la politica? Ormai tutti i governi sembrano governi tecnici, dato che nessun partito coltiva più una visione del mondo e dell’uomo, e tutti litigano soltanto sui conti della spesa.
Alle persone spaventate dal futuro, la destra risponde speculando sulle paure e la sinistra irridendole, talvolta con disprezzo. E dovremmo stupirci se persino nella frenetica, pragmatica Milano il desiderio di rassicurazione e pace interiore riempie i palazzetti? Bisognerebbe ricordarsi che la favola più famosa del Novecento, il Piccolo Principe, lo è diventata per una frase: l’essenziale è invisibile agli occhi.