la Repubblica, 3 ottobre 2023
Intervista a Miuccia Prada
Se vuoi far capire le tue idee, portare avanti i principi in cui credi e hai nei vestiti il tuo mezzo di comunicazione, devi fare in modo che la gente li capisca. Se a nessuno piace quello che fai, tutto rimane fine a se stesso. Ecco perché oggi mi interessa lavorare sulla realtà». Per Miuccia Prada, il successo clamoroso delle ultime stagioni di Miu Miu, l’altro brand del Gruppo Prada che lei disegna, lanciato trent’anni fa, nasce proprio dalla notevole capacità della stilista di comprendere, decodificare e rileggere la realtà. Ecco perché si attende la sfilata primavera/estate 2024 del marchio in programma oggi a Parigi – l’ultimo show dell’ultimo giorno delle fashion week – per capire dove stia andando davvero la moda.Occuparsi di realtà, secondo lei, vuol dire per forza semplificare il proprio linguaggio?«No. Un tempo il dialogo si svolgeva all’interno degli stessi ambienti culturali. Oggi si parla con tutto il mondo e allora, per farsi capire, si tende alla semplificazione. Lo comprendo, però la questione è fino a che punto si possa semplificare per farsi comprendere, senza risultare inutili. Perciò sto provando a fare l’esatto contrario, valorizzando la complessità della vita. Anche perché ci sono moltissime persone intelligenti, non solo quelle superficiali».Quindi lei non ama le generalizzazioni.«La moda è un po’ come la politica: in politica decide la maggioranza degli elettori, però ci sono anche quelli che non votano. Loro, in cosa credono? Allo stesso modo, quanta gente si allontana dalla moda perché trova che sia diventata banale? Ecco, penso che si debba ascoltare anche loro. Perciò dico che c’è spazio per la complessità, l’intelligenza, la creatività, le idee.Ma per raccontare ciò in cui si crede, serve avere una propria voce».E la sua voce, come si esprime?«Con i miei vestiti e attraverso la Fondazione Prada. Con la moda puoi essere incisivo fino a un certo punto: puoi riflettere sull’emancipazione femminile, commentare il momento, ma non puoi discutere della complessità del mondo».Però finora ha tenuto la casa di moda e la Fondazione separate.Ha cambiato idea?«Sto cercando di fare pace con le mie attività. Non è una questione di contenuto, ma di comunicazione: è chiaro che non sono mai state separate, sono sempre coesistite.Ma ero molto rigida: ho rifiutato a lungo di parlare e promuovere il mio impegno culturale tenendolo separato dalla moda, perché molti temi politici in qualche modo sono fuori luogo nel contesto del lusso.Adesso ho capito che voglio fare chiarezza e rendere più coeso il mondo che ho intorno. Attraverso la moda posso collaborare con le registe dei Women’s Tales (serie di corti sulla vanità prodotti dal marchio, ndr ) e con le artiste per i set delle sfilate: è un modo per allargare il dialogo indipendentemente dai contenutidella sfilata e per avere un commento sul mondo di oggi».Parlando di comunicazione: lei si è sempre dimostrata curiosa per i nuovi media. È stata la prima ad avere i Tiktoker alle sue sfilate.«A me interessa capire come cambia il mondo. Posso anche essere critica, ma voglio prima capire: fa tutto parte della nostra vita. Devi osservare cosa succede di nuovo e saperlo utilizzare per i tuoi scopi. Troppo spesso la cosiddetta intellighenzia rifiuta certi strumenti perché poco “sofisticati” e sbaglia, perché rischia che se ne serva chi la pensa diversamente. Certo, c’è molta superficialità nell’uso che si fa oggi di certi media, ma allontanandosene non si fa parte della conversazione. E, una volta fuori, è difficile rientrare. Mentre magari altri, meno attenti e meno colti, vanno avanti. Per questo sarebbe importante dire ciò che si pensa. Ma spesso non lo si fa per paura delle conseguenze».Trova ci sia meno libertà nella sua professione rispetto al passato?«È più complicato e rischioso, ilpolitically correct frena moltissimo. Inoltre – ma non so se sia una scusa che concedo a me stessa perché non sempre ho il coraggio di parlare – sento il peso dell’azienda e di tutti quelli che ci lavorano. È una grande responsabilità: prima di dire qualcosa, ci si pensa bene».È un bel limite, per chi fa un lavoro creativo.«La cosa difficile è mantenere la propria identità entro i limiti di oggi. Io mi rendo conto di vivere delle mie certezze passate, ma oggi un ragazzo da chi è aiutato a farsi una cultura, a farsi un’idea?E la conoscenza della storia è fondamentale».I ragazzi sembrano considerare Miu Miu come una sorta di community.«Forse percepiscono che dietro c’è un pensiero, qualcosa in cui noi crediamo per primi, e allora si fidano».Lei in passato ha detto che nessuno sbaglia a priori a vestirsi.Lo pensa ancora?«In realtà ho detto una cosa molto precisa: io noto solo se qualcunoè particolarmente bello ed elegante. La normalità non la guardo e non la giudico».Quindi quando viaggia non le succede di osservare come i ragazzi indossano Miu Miu in giro per il mondo?«Miu Miu non veste solo i ragazzi, abbiamo clienti ben oltre i sessant’anni. Comunque, no.In realtà, la questione non si pone: se stai attento a quello che accade nel mondo, sei già naturalmente collegato con il presente. Io faccio quello che mi pare giusto per il momento».Ha definito Miu Miu il suo lato più sovversivo.«Miu Miu è sempre stato un po’ sovversivo: troppo strano? Troppo intellettuale? Troppo difficile?Di recente ho deciso di cercare di rendere utili le energie del mio pensiero, delle collaborazioni che facciamo e delle persone con cui lavoriamo. Quando dico utile, intendo il fare vestiti che si ha voglia di mettere: è così che sto cercando di mettere in pratica le mie teorie “contro”, che sinora sono state, per l’appunto, solo teorie».Com’è cambiato il lavoro sul marchio negli anni?«I fondamentali restano gli stessi, ma questo spostamento verso la realtà è molto significativo e ci sto lavorando da due, tre anni. Penso che la realtà sia di moda perché le stranezze non sono più così attraenti: sarà che per certi versi sono una vera appassionat a della moda, ma penso sia molto più giusto un oggetto classico che appartiene alla nostra storia che un’invenzione fine a se stessa. Magari tra tre mesi, o tre anni, cambierò idea, ma per ora vado avanti così».Per Miu Miu ha sempre usato volti non convenzionali: Chloë Sevigny ha sfilato nel 1996, Emma Corrin a marzo. Come le sceglie?«Scelgo chi mi attrae per quello che fa, e per il momento in cui ci troviamo. È un criterio molto personale, e mi piacerebbe allargare sempre di più lo spettro di persone in passerella. Anche quando ho lavorato con modelle famose le ho lasciate come sono nella loro quotidianità: mi ha sempre interessato come la combinazione tra persona e vestito cambi la percezione altrui».Sfilando per ultima, vede tutte le proposte dei suoi colleghi: le capita mai di notare qualcosa che ha fatto anche lei e di cambiarla all’ultimo?«Raramente, ma è successo.Ma adesso il mio criterio è non guardare nulla: se ho pensato a qualcosa che per me funziona, allora la faccio».