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 2023  ottobre 02 Lunedì calendario

Intervista a Gianpiero Strisciuglio

«Esistono norme e procedure precise che disciplinano l’attività nei cantieri: Se fossero state rispettate non sarebbe accaduto». Gianpiero Strisciuglio scandisce le parole con un tono serio e non potrebbe essere altrimenti. A un mese dalla tragedia di Brandizzo, da quella notte dei cinque operai spazzati via da un treno che non doveva esserci, l’amministratore delegato di Rete Ferroviaria Italiana ammette che «il dolore è ancora grandissimo, non è passato e non passerà: un tragico incidente che ha segnato la storia dell’azienda e delle sue persone». Attende con impazienza la fine dell’inchiesta e conta di avere i risultati della commissione voluta da Rfi per fine ottobre. Poi guarda avanti. Soprattutto ai 125 miliardi di investimenti da realizzare nel quadro del Pnnr che, assicura, «per l’83 per cento dei quali è in fase realizzativa». Il che, assicura, è un risultato tutt’altro che trascurabile.Ingegnere, partiamo da Brandizzo. Ripensandoci, cosa è stato? Un errore? Un caso? O il crollo di un sistema che andava riformato?«È stata la violazione del sistema di regole secondo le quali si debbono effettuare i lavori sull’infrastruttura. C’è una indagine penale in corso che darà le risposte dovute, e noi stiamo offrendo la massima collaborazione agli inquirenti. Lavora anche la nostra commissione di inchiesta, composta da persone altamente qualificate e presieduta da un autorevole esponente del mondo accademico, è la prima volta che succede».Come è potuto accadere?«I lavori sull’infrastruttura vanno autorizzati. Perché lo siano, non ci deve essere circolazione ferroviaria. Invece c’era. È tutto molto chiaro».Per Rfi i ricorsi agli appalti è una scelta o una necessità?«I lavori sulla rete vengono effettuati da Rfi direttamente oppure attraverso ditte appaltatrici. Va detto, che le regole di sicurezza sono le stesse in entrambi i casi e che l’attività di manutenzione per la sicurezza è molto importante. Il contratto di programma col ministero ci assegna, per il quinquennio 22-26, 11,6 miliardi per la manutenzione straordinaria e 1,15 miliardi l’anno per quella ordinaria. In questo quadro, ricorriamo a operazioni svolte da nostro personale come da ditte appaltatrici, a seconda delle circostanze e nel rispetto del quadro normativo vigente».Come suddividete l’impegno?«Rfi si occupa della manutenzione ciclica prevista sulla rete e di una parte della ordinaria. Quella finalizzata alla gestione del degrado dell’infrastruttura e la straordinaria viene affidata in appalto».Se prendiamo tutta l’attività, viene grosso modo fuori un terzo a voi e due terzi dentro. È così?«A grandissime linee. Ma va rammentato che non c’è alcuna differenza o distinzione nella applicazione delle regole se il lavoro viene fatto dal personale di RFI o da imprese esterne, in appalto.C’è un controllo diretto sul subappalto?«Le ditte che concorrono per gli appalti sono iscritte al nostro sistema di qualificazione. C’è una verifica prevista sui requisiti tecnico finanziari e abilitativi che avviene a priori. I subappalti vengono poi autorizzati sulla base della specifica esigenza lavorativa – con un apposito contratto – attraverso una serie di verifiche necessarie per l’approvazione del subappalto stesso».Come affrontate la possibilità di infliggere delle penali?«Non è un nodo cruciale, quello delle penali. Sono finalizzate proprio alla corretta esecuzione dei lavori. È una questione imprescindibile. Su tutto prevale la necessità che il lavoro sia sempre effettuato a regola d’arte».Chi stabilisce i tempi di lavoro?«Ci sono periodi di riferimento definiti all’interno del sistema manutentivo di Rfi. Rispetto a questi, è possibile che ci siano degli adeguamenti, definiti dall’esecutore dei lavori a seconda del contesto specifico in cui si trova a lavorare. Possono essere originati da esigenze logistiche, dal meteo, da aspetti organizzativi. Rispetto a questo il contesto può generare la possibilità di adeguarli e modificarli».Verificate la qualità dell’esecuzione del contratto?«L’appaltatore che ci restituisce l’infrastruttura deve verificare e attestare che i lavori siano fatti a regola d’arte. Noi verifichiamo che ci siano tutte le condizioni tecniche prima di riprendere a far circolare i treni. Il controllo è doppio. Le responsabilità sono legate alle tre fasi di autorizzazione, esecuzione e verifica».Torniamo a quella notte. Si dovevano sostituire 7 metri di binario in poco più di un’ora e mezza e Sigifer avrebbe impiegato 5 operai. Il lavoro è poi stato svolto dai tecnici di Rfi e ne sono stati utilizzati otto per lo stesso tempo con più macchinari a disposizione. È andata così?«Gli interventi compiuti a Brandizzo fra l’11 e il 12 settembre da Rfi comprendevano anche altre lavorazioni. Non possono quindi essere paragonati a quelli della notte del tragico incidente».La revoca a Si.gi.fer è definitiva? Pensate di rivalervi nei loro confronti?«La sospensione dal sistema di qualificazione è definitiva, quello che è accaduto ha fatto venir meno il rapporto fiduciario con l’impresa. In questo momento non riesco a dire se ci rivarremo nei confronti dell’azienda. Valuteremo poi con i legali se e cosa fare».Da una decina d’anni l’Ansf solleva questioni sui protocolli e sui processi di sicurezza e, pur concedendo le autorizzazioni chiede puntualmente l’adeguamento dei criteri e dei livelli di garanzia. Cosa vuol dire?«L’autorizzazione di sicurezza che ci consente di essere gestori dell’infrastruttura – rilasciata dall’Ansfisa – si basa sulla verifica di un sistema integrato di gestione della sicurezza di cui Rfi si è dotata. È un’autorizzazione che attesta l’aderenza al sistema di norme rispetto al ruolo che svolgiamo. A Rfi è stata concessa nel 2014, poi rinnovata per due anni nel 2019 e ulteriormente rinnovata. Ci sono stati alcuni rilievi a cui Rfi ha dato riscontro, su aspetti di varia natura, anche documentali. Ma abbiamo puntualmente dato riscontro a tutto».State collaborando coi loro incaricati che conducono gli approfondimenti su Brandizzo?«La collaborazione è piena con tutti: mettiamo a disposizione quanto richiesto».Entro quando pensate di concludere la vostra inchiesta?«La nostra commissione ha a disposizione 60 giorni. Noi speriamo che si arrivi alla conclusione anche prima. Stiamo lavorando a testa bassa per farlo».Il numero di manutentori interni a Rfi è congruo per i lavori che avete da fare?«Lo è. Sono 15 mila attivi, con il percorso di qualifica completato. Nel triennio 20-23 sono usciti poco meno di 100 manutentori e ne sono stati assunti quasi 3.000 quindi il numero è cresciuto in relazione agli impegni e all’attività richiesta sui cantieri della rete, anche di adeguamento tecnologico».Qual è la lezione che avete appreso dalla tragedia di Brandizzo?«La necessità di ribadire sempre che le lavorazioni vanno fatte nel rispetto delle leggi e dei protocolli. Questo è evidente che si aggancia al tema della cultura della sicurezza che va rafforzata. Ecco perché riteniamo che serva un’azione comune con gli stessi lavoratori. Nel 2022 Rfi ha realizzato 2,5 milioni di ore di formazione proprio sulla sicurezza. La consapevolezza va sempre accresciuta, non c’è mai una soglia alla quale fermarsi».È una questione di soldi? Si fa economia sulla formazione?«In Rfi no, assolutamente».Cambiamo campo. A quanto ammontano i fondi del Pnrr che avete a disposizione?«Il Pnrr affida circa 24 miliardi a Rfi su diverse linee di intervento per lo sviluppo delle linee di collegamento. Sono progetti che stiamo portando avanti e che dovranno essere conclusi entro il 2026. L’83% di questi interventi sono in fase realizzativa (quindi sono stati di fatto assegnati ai soggetti che li dovranno portare a termine)».Qual è il più importante?«L’Ertms, lo standard più avanzato a livello europeo per la gestione, il controllo e la protezione del traffico ferroviario. In questo, Rfi è all’avanguardia, e l’Italia è il primo Paese che ha applicato questa tecnologia sulle linee dell’alta velocità. L’Europa ha fissato come termine ultimo il 2050 per adeguare tutta la rete, noi abbiamo intenzione di arrivare a adeguare tutti i 16.800 chilometri della nostra rete entro il 2036. È un piano accelerato, adeguare un sistema tecnologico significa anche adeguare i treni che vi possono circolare e dell’industria che deve essere capace di produrli».A fine luglio c’è stato un rimpasto per rendere più realizzabili i progetti entro il 2026. È una limitazione?«Abbiamo 125 miliardi di investimenti in 10 anni, il Pnrr ha una scadenza temporale quindi si tratta solo di una rimodulazione che serve proprio per garantire che il piano vada avanti attingendo dalle risorse disponibili nel modo più corretto possibile. Non ci sono tagli ma investimenti con canali diversi».Quali sono i progetti, nell’ambito dei 125 miliardi di investimenti, che ritiene più importanti?«Innanzitutto, interveniamo con opere, sia al Sud sia al Nord, che conferiscono un assetto nuovo alla rete. Si tratta di investimenti capillari sul Paese e riguardano i principali assi di collegamento nord-sud anche verso la Sicilia e poi, grazie alle connessioni internazionali attraverso il Terzo Valico e il Brennero, consentono di connettere le nostre infrastrutture con il resto d’Europa e offrono grandi prospettive di movimento per le persone e le merci. L’elenco è lungo, dal collegamento Torino-Venezia, al collegamento Av da Salerno fino a Reggio Calabria e poi da Messina a Palermo passando per Catania. È un fortissimo piano di trasformazione anche tecnologica e una visione della rete completamente evoluta».E la Torino-Lione? Quando pensa possa essere ultimata?«Credo possa essere finita nel 2032, ci posso scommettere. Si sta lavorando con il massimo impegno per realizzare l’opera». —