Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 02 Lunedì calendario

Gli eco-ansiosi


«Buio, buio e ancora buio. Ero inerte, una cosa morta. L’unica parte viva del mio corpo era il sangue che guardavo uscire dalle mie ferite. Sapete dove spingevo la lametta? Nella parte alta delle cosce. Quel punto è sempre coperto. Me l’aveva insegnato un’amica. Anche lei stava male. Mi ferivo, la pelle bruciava e trovavo pace. Poi mia madre se n’è accorta, eravamo al mare, a Sorrento, l’unica volta in cui avevo messo il costume. Quel giorno tutto è finito, anzi è iniziato. Grazie a lei. Mi sono curata. Sono guarita. Sono qui e non sottoterra». Parole crude, parole dure. Francesca B. aveva 16 anni, oggi ne ha 20, racconta il suo buio, perché, dice, «possa diventare luce per tante ragazze disperate come lo ero io, quando preferivo il dolore del sangue a quello della mia mente». Un ricovero in un grande ospedale napoletano, i farmaci, la psicoterapia, un lento ritorno alla serenità. «Il 70% dei giovani che arrivano al nostro pronto soccorso ha compiuto atti di autolesionismo o tentativi di suicidio. E il 90% sono ragazze», avverte Stefano Vicari, primario di neuropsichiatria del Bambin Gesù di Roma, che non si stanca di ripetere quanto sia grave l’emergenza e di ripetere che qualcosa è accaduto tra le figlie e figli della Generazione Z.Nella mente dei ragazzi. Cosa si è rotto, anzi scassato? Cosa è questa “esplosione” di disturbi mentali più o meno gravi che dal mondo scientifico alla scuola, dalle famiglie ai ragazzi stessi, l’intera società denuncia? Il Covid certo, la sua “onda lunga”, detonatore però, si è capito, di un malessere che già c’era e infatti oggi continua a crescere. Ansia generalizzata, massificata, depressione, l’epidemia di disturbi alimentari, la rabbia di ragazzini che spaccano tutto, devianza, il fenomeno dilagante del cutting, vuol dire tagliarsi, lo faceva Francesca, che pure a scuola era la prima di tutti e non sopportava però «di essere meno della perfezione, non mi sentivo mai abbastanza brava, abbastanza magra, abbastanza amata». «Dall’inizio della pandemia abbiamo registrato il 40% in più di accessi al pronto soccorso. Una percentuale che aumenta, dobbiamo parlarne, senza paura di effetti emulativi e moltiplicatori, più ne parliamo più gli adolescenti capiranno che possono chiedere aiuto. Perché i disturbi mentali si curano».
L’allarme dell’Oms L’Oms indica il suicidio come seconda causa di morte dei teenager tra i 15 e i 25 anni, mentre in Italia quasi 2 milioni di bambini e ragazzi sono colpiti da disturbi neuropsichici dell’età evolutiva. Un numero enorme. Ossia il 20% della Generazione Z, l’etichetta è vecchia ma serve a identificare i nati tra il 1997 e il 2012, vuol dire che i più grandi hanno 25 anni, gli altri sono ancora bambini. Con ironia si sono auto-diagnosticati una nuova patologia, la eco-ansia, nei giorni della pandemia durante le manifestazioni innalzavano cartelli con la scritta «sto male, vogliolo psicologo a scuola», perché oltre allo studio, al lavoro, al salario minimo, «anche la salute mentale è un diritto», ci vuole coraggio a dichiararsifragili, loro lo hanno fatto.I tormenti senza nome«Spesso il male di vivere ho incontrato» è l’incipit abusato e strattonato quanto mai di una poesia di Eugenio Montale, eppure nulla come questa frase identifica quel tormento che nasce da dentro, a volte la causa ha un nome, a volte no. «Le malattie mentali sono multifattoriali», dice Vicari, «ci può essere una predisposizione genetica che se incontra un ambiente a rischio si manifesta». Ambiente a rischio vuol dire un humus giovanile dove «il consumo di droghe e alcol non è mai stato così alto, la dipendenza da social una piaga nuova, fin dalla scuola si chiedeai ragazzi soltanto competizione e prestazione». E Vicari incalza: «La politica ha enormi responsabilità verso i giovani, le famiglie stesse si sentono fragili senza più la forza di educare, di dire ai propri figli che non è necessario vincere per essere amati, Pasolini lo chiamava educare alla sconfitta».L’ansia da prestazioneÈ ilrefraindel malessere, non a caso gli studenti contro la “scuola del merito” del ministro Valditara lo hanno detto con chiarezza, «not in my name, noi vogliamo imparare non gareggiare». Poi c’è Chiara D., di anni ne ha 21, è cresciuta a Cassolnovo, vicino a Pavia, studia a Venezia all’Accademia di belle arti, vuole fare la costumista. Alla sua crisi è riuscita a dare un nome, grazie al sostegno degli psicologi dell’associazione “Soleterre”.«Era la primavera del 2020, mentre il mondo si fermava anche la mia vita andava in pezzi», ricorda Chiara. «Durante il lockdown è come se avessi smesso di respirare, ero abituata a fare mille cose, scuola, sport, corsi di tutti i tipi, di colpo mi sono ritrovata ferma nella mia stanza, sola, senza contatti. La vita di fuori mi mancava terribilmente, contavo i giorni della quarantena, invece quando le porte si sono riaperte da quella mia prigione non riuscivo più ad uscire».Attacchi di panico e depressione. Come se la libertà, dopo la clausura, fosse qualcosa di inafferrabile, anzi spaventoso. «Avevo la nausea, la diarrea, il mal di testa, vomitavo, a ogni visita i medici dicevano però che non c’era nulla di organico. L’anno della maturità ho finalmente accettato di farmi curare, la mia ansia si è placata, ho anche vinto una borsa di studio. Oggi sono a Venezia, esattamente dove volevo essere, ma lontana dalla mia famiglia la sensazione di angoscia è tornata. Ho richiamato il mio terapeuta, perché comunque nella mia vita è successauna cosa bellissima: non mi vergogno più di chiedere aiuto».Il tunnel dopo il CovidDamiano Rizzi, psicologo e fondatore di “Soleterre”, associazione che promuove il diritto alla salute, lavora con la sua équipe nei reparti di pediatria del San Matteo di Pavia. «Durante la pandemia avevamo creato un progetto di psicologia sostenibile a prezzi popolari. Finito il Covid però le richieste d’aiuto aumentavano, così, invece di chiudere, la nostra rete si è allargata sempre di più, fino ad avere 600 operatori. La salute mentale non può essere un lusso per pochi. L’80% dei giovani con disturbi mentali non viene curato dalla sanità pubblica». Quattrocento posti letto nelle neuropsichiatrie di tutta Italia, ne servirebbero il doppio. Giorgio Trani è un padre che non nasconde il suo tormento. Al telefono ha la voce stanca. «Avete visto la serie Tutto chiede salvezza?Mio figlio stava come quel ragazzo, dopo anni di abuso di sostanze. Quante volte ha picchiato me e mia moglie. A 16 anni e si è tagliato le venee finalmente lo hanno ricoverato». Ora P. è in una comunità e inizia a rivedere la luce. La domanda torna: da cosa nasce questa fragilità? Rizzi: «Il Covid come spiegazione non basta più. Tra i miei pazienti prevale il senso di inadeguatezza, schiacciati dalle aspettative nei loro confronti». Sussurra però mestamente Giorgio Trani: «Nessuno ti insegna a fare il genitore, P. aveva dentro una fragilità che non potevamo immaginare. Sappiamo però che grazie al legame con noi ha trovato vivere». Daniela Lucangeli è professoressa di Psicologia a Padova. Il Covid, dice, «ha fatto come il mare in tempesta che porta a galla tutto quello che c’è sul fondo, detriti, rottami».Gli abissi del nostro malessere. «La differenza tra questa generazione e quelle precedenti è che i ragazzi di oggi esauriscono precocemente le loro risorse di sopportazione del dolore dell’esistenza».Il silenzio da rompereMatteo Lancini, psicologo e psicoterapeuta, allo smarrimento dei ragazzini nell’età «della fragilità adulta»ha dedicato il libroSii te stesso a modo mio. «La pandemia ha aiutato gli adolescenti a gridare: sto male. È questa la rivoluzione. Sembrerà un paradosso ma è un dato positivo. Ho pazienti felici di fare terapia. Non era mai successo. Il loro disagio si esprime con più fattori, penso alle ragazze anoressiche poi si tagliano, agli autoreclusi, tutti soffrono di ansia. Perché? C’è un vuoto di identità, un’assenza di prospettive, la guerra, la povertà e un mondo adulto che non riesce più a dare risposte». Racconta Lancini: «I teenager dicono: “Non ce la faccio, il confronto mi schiaccia, ho paura”. Ma tutto viene patologizzato e psichiatrizzato. La scuola: di fronte all’incapacità di gestire violenza, di bullismo o semplicemente l’irrequietezza di un contesto giovanile, si punta sulla repressione. Sei in condotta, bocciature. Acuirà l’aggressività. Ai genitori dico: rompete il silenzio. Chiedete ai figli come stanno, se pensano al suicidio e se hanno paura di ferirvi. Aperta la breccia il resto viene». Ed è l’inizio della guarigione.