Corriere della Sera, 2 ottobre 2023
Ritratto di Robert Fico
Cinque anni fa sembrava un uomo politicamente finito. Dopo l’omicidio del giornalista Ján Kuciak e della sua fidanzata, migliaia di persone scesero in piazza contro la corruzione dilagante, costringendolo a dimettersi. Sembrava spacciato, il suo partito sconfitto per la prima volta in 15 anni, nel 2020. Invece Robert Fico è tornato, e ha vinto neppure di misura la sfida per il suo quarto mandato sfoderando toni apertamente filorussi e xenofobi.
Fuori dal centro storico di Bratislava si trova Aktuality, il giornale dove lavorava Kuciak. All’ingresso un manifesto ritrae il cronista insieme alla fidanzata con la scritta #allforjan, hashtag che spopolava dopo quelle pallottole che colpirono i due ragazzi nella loro casa.
«Anche allora la Slovacchia era spaccata in due: quelli che credono nella democrazia liberale scesero in piazza, mentre rimasero a casa i fan dell’uomo forte che consideravano Kuciak soltanto un problema personale di Fico e non per il Paese» ci dice Peter Bárdy, direttore di Aktuality e autore di Fico – Ossessionato dal potere, biografia appena pubblicata.
È la storia del politico più influente e controverso della Slovacchia moderna: diventato parlamentare appena 28enne nel 1992, tra le fila della sinistra nata dalle ceneri del comunismo, poi fondatore di Smer, partito socialdemocratico, è stato già tre volte premier nel 2006, nel 2012 e nel 2016.
L’ultimo mandato interrotto sotto le pressioni della piazza e dei giudici. Le ragioni della sua rinascita si inseriscono nella sua audace parabola politica: da comunista a populista che cerca alleanze nell’estrema destra. «In realtà Fico non è mai cambiato, è sempre stato uomo pragmatico, cinico, assetato di potere», dice Bárdy.
Un esempio: nel 2014, il suo ministro degli Esteri votò a Bruxelles a favore delle sanzioni contro la Russia mentre in Slovacchia lui ripeteva che queste misure non funzionano. «Ha fatto la doppia faccia in tutta la sua carriera. È stata la sua strategia per restare al potere». Ora Fico sta diventando ancora più pericoloso perché non ha più bisogno di apparire accettabile agli occhi dell’Occidente: per questo ha accentuato i toni aggressivi e dispotici e «ora se andrà al governo diventerà un piccolo Orbán». Del resto, i due leader collaborano già da tempo.
«Due settimane fa in Slovacchia è esplosa la crisi dei migranti grazie all’aiuto di Orbán, che ha aperto la frontiera per creare il caso e permettere a Fico di giustificare uno dei punti cardine della sua campagna elettorale. E in passato quando la Ue ha attaccato Orbán, lui lo ha difeso» chiarisce Bárdy.
La frustrazione antisistema è via via cresciuta in Slovacchia negli ultimi tre anni. L’instabilità politica (tre governi in tre anni) ha pesato sull’aumento del costo della vita. Così il diffuso malcontento e un’aggressiva campagna di disinformazione hanno rilanciato Fico: «Oggi insieme a partiti nazionalisti e di estrema destra raggiunge il 44-46% dei consensi. Ma è fondamentale che Hlas, formazione guidata dal suo ex compagno di partito Pellegrini, entri in coalizione».
Diversi analisti sostengono che il volto odierno di Fico sia quello più autentico. «Lui, di umili origini, è cresciuto con l’ossessione del potere», osserva Bardy. «A 19 anni si è iscritto al partito comunista, che negli anni ‘80 era un modo per fare carriera. Ha sposato Svetlana Ficová, figlia di un potente giudice comunista, ma il suo vero amore è Maria Troskova, ex fidanzata del calabrese Antonino Vadalà e sua consigliera prima delle sue dimissioni nel 2018. Kuciak stava indagando sui legami di Vadalà e della ‘ndrangheta con le autorità slovacche quando è stato ucciso. L’assassinio ha segnato la fine della loro relazione».
Diversi osservatori temono con lui al governo una svolta autoritaria e il progressivo smantellamento dello Stato di diritto: in prima linea nell’agenda di Fico ci sarebbe la fine delle indagini sulla corruzione che perseguitano lui e i suoi collaboratori.