Domenicale, 1 ottobre 2023
Il discorso sul metodo di Galileo
Nessuna opera meglio del Saggiatore ci aiuta a capire la visione della scienza di Galileo. Nato da una disputa occasionale, il libro va ben oltre la polemica scientifica: è a tutti gli effetti una sorta di “discorso sul metodo”, che presenta una filosofia naturale destinata a segnare in profondità la scienza moderna.
Il Saggiatore fu pubblicato a Roma alla fine di ottobre 1623, esattamente quattro secoli fa, in un contesto quanto mai favorevole. Pochi mesi prima, il 6 agosto, il cardinale Maffeo Barberini era asceso al soglio di Pietro con il nome di Urbano VIII. Fine intellettuale, protettore di artisti e letterati, per molti il suo pontificato sembrava inaugurare una stagione carica di grandi aspettative. A maggior ragione per Galileo, che poteva vantare un’amicizia di vecchia data con Urbano VIII, il quale aveva sempre mostrato interesse e apprezzamento per le sue ricerche scientifiche. Non solo quando, grazie alle straordinarie scoperte telescopiche descritte nel Sidereus nuncius (1610), Galileo si era conquistato una fama mondiale, ma anche quando era finito in un cono d’ombra. Quando cioè la sua campagna a favore del sistema eliocentrico si era conclusa nel peggiore dei modi, con la Congregazione dell’Indice che il 5 marzo 1616 aveva sospeso il De revolutionibus orbium coelestium (1543) di Copernico, e con il cardinal Bellarmino che, su espresso ordine di papa Paolo V, lo aveva ammonito ad abbandonare la tesi del moto terrestre e dell’immobilità del Sole.
Il Saggiatore era per Galileo quasi un altro debutto. Ritornava sulla ribalta con un’opera brillante, venata di ironia e dotata di notevoli qualità letterarie; tutti aspetti molto apprezzati da Urbano VIII, cui il libro era dedicato e che se lo faceva leggere a mensa. Il Saggiatore scaturiva però da una polemica, e per giunta molto aspra, sul moto e sulla natura delle comete. Tutto era iniziato con l’apparizione, tra l’agosto 1618 e il gennaio 1619, di tre comete nei cieli europei. Era la prima volta che questi fenomeni potevano essere osservati con il telescopio, lo strumento con cui nel 1610 Galileo aveva esteso i confini dell’universo.
Non stupisce quindi che in molti si fossero rivolti a Galileo sia per conoscere la sua opinione sulla spettacolare apparizione delle tre comete, sia per invitarlo a scrivere su un argomento che in tutta Europa stava coinvolgendo matematici, filosofi, astronomi e astrologi. Quando però a metà febbraio 1619 Galileo aveva manifestato l’intenzione di intervenire nel dibattito in corso, era venuto a sapere che proprio alla natura delle comete un esponente di spicco del Collegio Romano, la più prestigiosa istituzione culturale della Compagnia di Gesù, aveva dedicato un testo di imminente pubblicazione.
L’opera in questione era la De tribus cometis anni MDCXVIII disputatio astronomica, che uscì poi nel marzo 1619: un brevissimo opuscolo il cui autore, benché celato dietro l’anonimato, era il padre Orazio Grassi, originario di Savona, professore di matematica in quel Collegio, astronomo e studioso di ottica.
La Disputatio astronomica aveva tutte le sembianze di un resoconto scientifico neutro che, sulla base di osservazioni e calcoli accurati, forniva una spiegazione delle comete innovativa, confutando addirittura l’antica dottrina di Aristotele. L’opera, tuttavia, lasciava intendere ben altro. In modo implicito, Grassi non solo confermava la teoria di Tycho Brahe, secondo cui le comete erano corpi celesti (e non fenomeni meteorologici come pensava Aristotele), ma suggeriva che il vero sistema del mondo era quello di Tycho, dove la Terra, considerata immobile, era il centro di rotazione della Luna e del Sole, il quale, a sua volta, lo era degli altri pianeti. Per chi sapeva leggere tra le righe, il messaggio che ne derivava era però piuttosto chiaro: la condanna nel 1616 della teoria eliocentrica aveva ora anche un solido fondamento scientifico nelle recenti osservazioni astronomiche, che avvaloravano la dottrina cosmologica di Tycho. E ciò rischiava di chiudere per sempre la speranza di Galileo di poter rilanciare il sistema del mondo copernicano.
L’uscita della Disputatio astronomica e le implicazioni appena delineate convinsero quindi Galileo che bisognava rompere gli indugi e intervenire nel dibattito. Il risultato fu la controversia con Grassi, che si svolse in tre atti.
Il primo prese avvio nel giugno 1619, con un Discorso delle comete che si opponeva alle tesi espresse nella Disputatio, ed ebbe come protagonista Galileo. Dietro le quinte però, poiché sul frontespizio del Discorso compariva il nome di un suo discepolo, Mario Guiducci. Nel secondo atto a occupare la scena fu Grassi, con la sua risentita risposta dell’ottobre 1619: la Libra astronomica ac philosophica. In questo caso dietro una maschera, quella di Lotario Sarsi Sigensano (anagramma imperfetto, ma ovvio, di Orazio Grassi Salonense), che si fingeva un allievo dell’autore della Disputatio. L’ultimo atto, da parte di Galileo almeno, fu rappresentato dal Saggiatore, che apparve quattro anni dopo.
Il Saggiatore è una corrosiva replica alla Libra astronomica, esaminata e confutata punto per punto. Letteralmente, poiché Galileo riporta l’intera Libra nell’originale latino, che sottopone a impietose considerazioni. E che questo sia l’obiettivo lo si evince fin dal frontespizio, dove Galileo annuncia che per soppesare le parole dell’avversario non si servirà di una grossolana e imprecisa stadera (la Libra di Sarsi-Grassi), ma di una «bilancia esquisita e giusta», quella cioè usata per accertare la purezza dell’oro. Per Galileo le comete erano fenomeni ottici generati dalla riflessione dei raggi solari e non corpi celesti come sosteneva Sarsi-Grassi.
Il Saggiatore, però, è molto di più di un trattato sulle comete. Era sufficiente mettere tra parentesi la contingente polemica cometaria per accorgersi che esponeva un programma quanto mai ambizioso e di ampio respiro che, con il suo appello a un approccio rigorosamente matematico ed empiricamente fondato, indicava una valida alternativa al vecchio sistema aristotelico-scolastico. Così, se nel 1610 con il Sidereus nuncius Galileo aveva rivelato un nuovo cielo, adesso con Il Saggiatore si accingeva a suggerire un nuovo modo di conoscere la natura. Una natura che andava letta come un libro i cui caratteri erano triangoli, cerchi e altre figure geometriche.
L’immagine dell’universo «scritto in lingua matematica» non era per Galileo soltanto una suggestiva metafora a effetto per enfatizzare il ruolo della matematica come strumento fondamentale di conoscenza. Ovviamente, aveva anche questo scopo, ma l’idea della matematica che Galileo voleva trasmettere era decisamente più profonda, poiché riguardava la sua valenza ontologica: la capacità di cogliere le proprietà essenziali dei fenomeni naturali, di “svelare” la struttura, la radice reale sottesa alle percezioni che di essi offrivano gli organi di senso.
Era questo il libro della natura che Galileo nel Saggiatore insegnava a leggere, indicando gli strumenti necessari per decifrarlo. Il Saggiatore introduceva a un modo di guardare le cose assolutamente inedito, era il manifesto di un nuovo modo di pensare, di una nuova filosofia naturale che inaugurava la scienza moderna.