Il Messaggero, 1 ottobre 2023
Gadda a tavola
«Camerieri inguantati sono a scodinzolare tutt’attorno gli schienali delle seggiole, o si inscrivono tra i neri signori e i decolletés delle dame color pervinca; si curvano sulla tavola presentando la portata, e accuratamente servendo. Ma i due professori non c’è probabilità che la smettano di polemizzare, di sofisticare, di controbattere l’uno la opinione dell’altro: fra la noia di tutti». È l’attacco dell’ennesimo delizioso volume da leggere e collezionare della Henry Beyle.
I PROGRAMMI
Questa volta Vincenzo Campo è andato a scovare un testo scritto per la radio da Carlo Emilio Gadda. Siamo nel 1955. L’ingegnere-scrittore a breve lascerà la Rai (dov’era stato assunto come praticante giornalista) per dedicarsi solo a Quer pasticciaccio brutto de via Merulana (che uscirà due anni dopo). Tra i suoi programmi radiofonici come ricorda in nota un testo del compianto Giulio Ungarelli, a lungo titolare della cattedra di Letteratura Italiana Moderna a Roma anche la rubrica sul «viver sociale moderno» in ufficio, condomini o, come in questo caso, Al ristorante (che è il titolo del libro in vendita dal 2 ottobre).
È il racconto del tedioso scontro tra due “baroni” le cui discussioni sui massimi sistemi sono spunto per parlare di galateo e di come si sta a tavola. «Ma i due professori non c’è probabilità che la smettano di polemizzare, di sofisticare, di controbattere l’uno la opinione dell’altro: fra la noia di tutti. L’uno sostiene che si deve mangiare tacendo, l’altro che si deve parlare mangiando». Due scuole di pensiero che oggi ci rimandano all’amato commissario Montalbano di Andrea Camilleri che «quando mangiava non rapriva bocca» perché «gli piaciva mangiare da solo, godersi bocconi in silenzio».
Nel suo Al ristorante, Gadda apparecchia «un campo di battaglia, l’elegante campo di una intelligente battaglia: uno schermagliare di sottili intelletti, un’accòlita di rari pezzi grossi, una tornata accademica di lingue nobilmente favellanti». Lo scontro è tra «due teologi del mangiare e del tacere». Per l’epicureo, i commensali «dovrebbero far propria la pertinace disciplina dei ruminanti, del bove: masticare zitti zitti, con occhioni estromessi ma cervello introvertito: quegli occhioni che non dicon nulla, ma esprimono la preoccupazione d’aver mandato giù il non salubre ossicino o la insaluberrima resca». Sul versante opposto ecco il platonico (sempre secondo Gadda) che preferirebbe che «gli spiriti degli attavolati, il fascino e il brio delle stupende signore, incrociassero le rispettive armi, impegnassero un unico gioco, accendessero la gran fiamma della cordialità conviviale». A sentirli vien da grattarsi la testa. Cosa da non fare, ammonisce l’autore: «ché il grattarsi la testa a tavola, svincolando squame di forfora nell’altrui minestra o pietanza, è pratica inelegante, nell’Ottocento, anzi, si diceva schifosa». E qui nell’incrocio e incontro di cultura alta e bassa verrebbe da rimpiangere (se lecito) l’epoca in cui il servizio pubblico radiotelevisivo era sì intrattenimento e anche scuola. E con maestri di questo calibro! Con garbo e grande humor, prendendo spunto dagli altri commensali (c’è anche un terzo professore provvisto di lenti ma che «soffre di denti») Gadda qua e là semina suggerimenti di bon ton (vietato pettinarsi per non «indorare le fragole del vicino», vietato spiluccare nei centrotavola anche se ricolmi di frutti esotici). Attovagliato anche un critico, che «non si capisce che cosa critichi, perché dice “io sono un sincretista": parla con la bocca piena e dà quindi ragione a entrambi i due tonanti avversari del parlare e del mangiare; da vero ed autentico sincretinista quale si professa». Comunque parla, parla e parla ancora e non beve. «Egli non si riscalda col vino, ma con la sua stessa voce, come il 95 per cento degli oratori», chiosa severo Gadda.
LA PASSIONE
Senza bisogno di attendere l’esplosione odierna delle imperanti mode gourmet, Gadda mostra qui un’antica passione per la cucina. Che già ricorda Ungarelli aveva palesato in una lettera del 1928: «Addio care memorie di spigole, di vongole, di spiedini di majale, di panforte, e di altri vermiciattoli mangiati nelle più nefande e saporose bettole della suburra, facendo finta di discutere lettere e politicaglia tanto per salvare un po’ le apparenze,. Addio! O, per lo meno, arrivederci».