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 2023  ottobre 01 Domenica calendario

Intervista a Pilar Fogliatti

Pilar Fogliati è una regina del “ma”. È bella, molto bella, ma sa risultare comica, o almeno buffa. Viene da Roma Nord, la zona dei Parioli, il Vietnam per Pietro Castellitto, ma è un’artista. Detesta dire di no, dare indicazioni, ma l’anno scorso ha ottenuto applausi con la sua prima regia. Ha appena 30 anni ma è considerata una delle più brave (e versatili). E questa sera torna su Rai1 con la seconda stagione di Cuori, nella quale interpreta una cardiologa.
Molti suoi colleghi assicurano: lei non è una meteora.
(Tono della voce tra il commosso e il gaudente) Che complimento bellissimo.
C’è sempre il pericolo di esserlo.
Per un attore credo sia la condizione basilare: il nostro è un lavoro precario; (sorride) anche esagerando, dopo ogni film, il pensiero è sempre lo stesso: “È l’ultima volta, non capiterà più. Ma va bene così, è stato bello”. Poi uno va avanti, passa un anno, un altro anno e via ancora.
Stare sul chi va là obbliga pure a migliorarsi.
Questo è il lato positivo; il negativo è che uno se la gode poco; (ci ripensa) la storia della meteora è tipica, una costante per chiunque di noi.
Secondo Verdone gli attori vivono con il colon infiammato. Come sta il suo?
Che palle.
Come “che palle”?
(Ride) No, che palle perché è vero; c’è un contrasto o un paradosso: il mio è un lavoro bellissimo, per privilegiati, in cui si ha la possibilità di guardarsi intorno, guardarsi dentro, ma allo stesso tempo siamo tutti stressati.
Come mai?
Un po’ per la precarietà, un po’ perché si è sotto giudizio; poi c’è sempre qualcuno che giustamente ti ricorda un aspetto chiave: non stiamo salvando vite umane.
E…
A volte, dopo il set, torno a casa disperata, sempre con il colon infiammato, mi accuso di aver recitato da cagna, ripenso a chi poco prima mi ha detto “brava, bella scena”, e dentro di me urlo “no, non è vero, sono un bluff!”.
Si dà della “cagna maledetta”?
Certo, assolutamente.
Comunque non salverà vite umane, ma l’arte può salvare le anime.
È vero e sentirsi dire “oggi è stata una giornata pessima, poi ho visto il tuo film e ho sorriso” è una magia straordinaria, ti restituisce il senso e toglie dal rischio della chiusura in se stessi.
In Cuori è una cardiologa: oltre al sorriso, qualche fan le chiede pure consigli medici?
Chi mi riconosce per Cuori lo capisco da come mi tratta.
Tradotto.
Mantiene più la forma, una leggera distanza rispettosa, tipica di quando si affronta un medico; alcuni mi parlano delle malattie, di cosa è accaduto a un loro familiare.
Quali pregiudizi ci sono su di lei?
(Ci pensa a lungo e si ripete la domanda).
Forse che le belle non possono strappare una risata?
Questo mi è accaduto e anche in privato.
Far ridere è una fatica.
C’è il pregiudizio che i comici nella vita sono tristi.
Lei?
Non lo sono, mi sento solare, ma è necessario mantenere le antenne sulla vita; (cambia tono) in realtà non sono una comica, sono un’attrice che ha girato anche commedie.
Il suo esordio in Forever Young, Brizzi alla regia.
Fausto, all’inizio delle riprese, mi ha rassicurato: “Sappi che ci becco: chi coinvolgo nei film poi prosegue nella carriera”.
Protagonista con Bentivoglio.
Avevo appena 21 anni ed ero una neo-diplomata all’Accademia: mi sentivo piccolissima in mezzo a un cast mostruoso e soprattutto in quell’occasione ho capito che rispetto ai provini non ci capisco molto.
Esagerata.
No, è così: dopo il primo con Brizzi, all’uscita, ero convinta di essere andata malissimo.
Il primo giorno di set.
Ho pensato: oddio quante persone. Mi sentivo come se stessi a teatro, non riuscivo a schermarmi, nella testa recitavo davanti a Bentivoglio; (pausa) Fabrizio rientra nella categoria di star che non si comporta secondo gli stereotipi della star.
Già famosa a 21 anni: a cosa ha rinunciato?
Al viaggetto o all’estate con gli amici: si lavora soprattutto nei mesi estivi, oppure nei weekend, quindi i rapporti personali sono complicati, hai sempre un provino o un appuntamento improvviso; devi rinunciare al gusto di programmare quando a me piace tantissimo, alla stabilità, devi imparare a gestire la tua vita nomade.
Gli amici delle superiori sapevano dei suoi obiettivi artistici?
Qualcuno, durante le recitine o le imitazioni, me lo diceva, ma il sogno l’ho tenuto per me, quasi mi vergognavo: quando sono andata al provino per la “Silvio D’amico”, non l’ho rivelato a nessuno, giusto a mia mamma e al fidanzato.
Si è presentata con un monologo di Joyce.
Con il direttore esperto di letteratura inglese; (pausa) è stata una follia: ho portato Joyce dalla terza persona alla prima. “Mi scusi, lei ha cambiato Joyce?”. Quando me l’ha chiesto ho capito l’azzardo.
Una volta in Accademia?
Assalita dal complesso de La cantatrice calva (opera di Ionesco, ndr).
Cioè?
Ha rappresentato una serie di schiaffetti morali per me diciottenne, ho capito cos’è la competizione ad alta velocità, è come se mi fossi detta: “A bella, svegliati e studia: gli altri a 18 anni già citano Ionesco o Beckett”.
Quindi?
Sentivo gli altri studenti parlare de La cantatrice calva con una sicurezza che mi ha mandato in crisi, allora sono andata in libreria e ho acquistato di tutto. Poi sono tornata in Accademia: all’inizio ho finto, poi quando ho acquisito alcune nozioni ho iniziato a entrare nello specifico per dimostrare di sapere.
Stratega.
Funziona sempre.
Cosa?
Quando devo commentare un film o libro, e non ne so nulla, lo schema è fissare un dettaglio e impostare il giudizio su quello.
E nei commenti post teatro?
Uguale. Se lo spettacolo è uno schifo mi attacco al dettaglio: “Mamma mia, stupendo, poi quando prendevi in mano quel bicchiere…”. (Sorride) se il commento non è sincero, lo capisco subito.
Romantiche è stato un successo.
Non me lo aspettavo; la sera della prima ho pure bevuto vino, ma io sono astemia.
L’astemia spesso viene trattata come malattia.
Davanti a me ho vissuto molti monologhi: ognuno ha la sua ricetta, i suoi dubbi, la sua riprovazione da manifestare.
Gli uomini si sentono disarmati da una donna astemia?
Eccome, più all’estero: in Inghilterra si incupivano, uno se n’è proprio andato.

Gli uomini denunciano un certo imbarazzo pure nelle scene di sesso.
Per me non ci sono problemi se sono necessarie alla storia, mentre i colleghi maschi vanno un po’ in ansia; forse perché sul set ci sono circa altri sessanta uomini e magari il sottotesto è “vedemo ora che je fa!”; (pausa, ride) effettivamente in quelle scene c’è tensione, ma basta anche un bacio: si sentono sotto pressione.
Il nudo femminile.
Non sono molto pudica, ma non mi piace se mi accorgo che serve solo ad acchiappare clic.
Sempre Verdone: “Nella carriera d’attore sono fondamentali i ‘no’”.
Anche Castellitto ha dichiarato che nel curriculum andrebbero inseriti pure i “no”; (pausa) in un attimo si rischia di perdere credibilità.
Castellitto junior ha parlato di Roma Nord come del Vietnam. Anche lei è di Roma Nord.
Al Vietnam aggiungo pure la Guerra nel Golfo e tutta un’altra serie di conflitti, ma lo è solo se ci sei cresciuta senza sentirti parte di quel contesto.
Addirittura.
Lì ti accorgi di quanto è vecchio il concetto di vita, di quanto è forte l’istinto di conservare un’idea di esistenza modello anni 80; se lo capisci, scatta la malinconia, l’unica soluzione è surfare su tutto questo.
A Roma Nord ha frequentato solo scuole private.
Però, poi, mi sono iscritta alla “Silvio D’Amico” e ho trovato un ambiente opposto.
Reazione?
All’inizio di odio verso il “Vietnam” e di totale amore per il nuovo ambiente, poi ho capito che esistono le persone a prescindere dai luoghi.
Dentro la “D’Amico” ha celato le sue origini?
Tantissimo, lo ammetto.
Temeva il giudizio.
Nell’ambiente artistico c’è un po’ di snobismo al contrario; (pausa) c’è un pregiudizio, una serie di equazioni: vieni da Roma Nord, Roma Nord è di destra, la destra non c’entra nulla con l’arte e chi è benestante non sa soffrire; (ci pensa) tutto questo è una cazzata enorme, ma è intrinseco in molte persone.
C’è un però?
Se vado a verificare le professioni di chi è uscito dal mio liceo, forse il solo tre per cento dei compagni si è dedicato all’arte, poi solo commercialisti, avvocati o notai.
La sua ossessione?
Capire gli altri, li trovo più interessanti rispetto al guardarmi.
Il suo talento?
(Sorride) Siamo sempre lì: osservare.
Legge l’oroscopo?
Sì.
Scaramanzie?
Nessuna.
Di quale difetto viene accusata?
Cado in paranoie incredibili e in quei momenti mi chiudo e divento impossibile; sono fissata sulla puntualità; poi ho difficoltà a dire le cose in faccia, anzi quest’ultimo è il mio più grande difetto, lo odio, perché mi porta a sbagliare con le persone…

Con questi difetti come è riuscita a girare un film?
Infatti è stata l’esperienza più difficile, si è trasformata in una terapia; (pausa) io ragazza esordiente, ho lavorato con una troupe composta da professionisti più grandi e con maggiore esperienza di me.

Fa terapia?
Eh, sì.

L’attore è sempre in terapia.
Lavori con la tua emotività, con i tuoi ricordi, smuovi molto e poi li devi affrontare.
Si è “portata” la parte a casa?
È successo: se devi piangere sei obbligata a pensare a cose orrende, e quelle cose non è che vanno via immediatamente.
Lei chi è?
Una ragazza cresciuta e una bambina matura.