il Giornale, 30 settembre 2023
Biografia degli 883
Forse gli storici, un giorno, stabiliranno che Max Pezzali e Mauro Repetto, gli 883, sono stati i migliori sociologi della loro era, la fine degli anni Ottanta e tutto il decennio successivo. Entrambi residenti a Pavia (Mauro però è nato a Genova), si conoscono sui banchi del Liceo scientifico Copernico, quando Max, più vecchio di un anno, viene bocciato. Iniziano quasi subito a scrivere canzoni insieme. La vita nella sonnolenta Pavia viene trasfigurata nel mito. Gli 883 però sono campioni mondiali di precisione. Parlano sempre di luoghi frequentati e persone conosciute. Della provincia, che poi è l’intera Italia, colgono tutto o quasi. I pregi e i difetti spesso coincidono. A Pavia è quasi impossibile sentirsi soli. Però sapere sempre chi incontrerai, e in quale luogo, rischia di essere noioso. La città è a misura d’uomo. Ma viene voglia di mettersi alla prova con qualcosa di meno facile. Io, comunque, c’ero e questi sono i miei ricordi. HANNO UCCISO L’UOMO RAGNO «Solita notte da lupi nel Bronx / nel locale stan suonando un blues degli Stones / loschi individui al bancone del bar / pieni di whisky e margaridas». Innanzi tutto il Bronx non è un quartiere ma era un locale di Pavia frequentato da Max Pezzali e Mauro Repetto, alias Flash per i conoscenti. All’epoca, i futuri 883 erano un gruppo hard rock, con sfumature rap, per motociclisti (da cui presero la ragione sociale, essendo la 883 un modello della mitica Harley Davidson). La svolta pop avvenne perché Claudio Cecchetto, passando per un locale (l’Insomnia) in cui suonavano ad esempio i Tipinifini o i Viaverdi, colse qualcosa nei testi. L’altra versione, forse non alternativa ma complementare, è che Cecchetto, in cerca di un nuovo Jovanotti, abbia ascoltato un demo degli 883 e sia rimasto colpito da Non me la menare, un rap rock molto anni Ottanta. Ricordo il mio amico Riccardo sconcertato dopo il primo ascolto di Hanno ucciso l’uomo ragno (1992): «ma che, davero» (sic)? Al Bronx girava sempre un blues degli Stones, ossessione del proprietario. Credo addirittura di poter affermare che fosse I Got the Blues da Sticky Fingers (album suonato a ripetizione al Bronx). Era in effetti un locale «losco», per quanto possa essere losco un locale di Pavia, cioè per modo di dire. Whisky e Margaridas sono una licenza poetica. Al Bronx potevi bere una birra media o, in alternativa, due birre piccole. Da mangiare c’erano solo piadine, ma i titolari si arrabbiavano moltissimo se li costringevi a cucinare (Quattro ristoranti e Masterchef erano ancora molto ma molto lontani nel tempo). Occorre dire che a Pavia c’è sempre stato un locale, nei pressi della stazione, aperto h24, è quello in effetti era un po’ losco. GLI ANNI «Stessa storia, stesso posto, stesso bar / Stessa gente che vien dentro, consuma poi va». Il Bar Dante è il bar per eccellenza degli 883, immortalato in diversi brani e sempre citato da Max come un luogo di ritrovo a cui deve il fatto di non essersi mai sentito solo. Pezzali però era anche avventore regolare del Borgo Calvenzano, una birreria davanti al naviglio e a poche centinaia di metri da casa sua (come il Bar Dante, del resto). Mauro Repetto decise di lanciarsi all’avventura dopo aver ascoltato il demo di questo brano, evidentemente lo colpì nel profondo. Da lì cominciò il suo tortuoso percorso, da Los Angeles, sulle tracce di una modella, a Parigi, dove lavorava a Disneyland (nega però di essere stato dentro al pupazzo di Pippo). Mauro voleva un’altra storia, un altro posto e un altro bar e ha avuto il coraggio di rimettere tutto in discussione. La provincia dà e toglie. Può essere confortante abbandonarsi alla sua tranquillità. Ma può anche essere un limite insopportabile. La provincia si ama soprattutto da lontano. Mauro Repetto è un nome che ancora oggi viene iscritto dai buontemponi agli esami di lettere. A quanto ricordo, Repetto era realmente iscritto a lettere moderne e contemporanee e credo proprio abbia ancora gli appunti di Filologia romanza sui quali abbiamo studiato io e il mio amico Andrea (nel caso, tienili pure, Mauro). Max invece fece un rapido passaggio da Scienze politiche, diede un solo esame, sociologia, non a caso. ROTTA PER CASA DI DIO «Avvistiamo da lontano un cavalcavia / Ci sarà un’autostrada là (Shalala) / Appena entrati dal casello come per magia / Ecco appare un autogrill». Il luogo magico, lontano, avventuroso (shalala) in cui rifugiarsi dopo essersi persi è l’autogrill di Dorno, autostrada dei Giovi, 20 chilometri scarsi da Pavia, effettivamente meta dei disperati in cerca di una birra notturna. È l’unico a occupare appunto l’intero cavalcavia e non le piazze di sosta e rifornimento. Max, ma come si fa a perdersi nel circondario di Pavia, non sei mica di Berlino, direbbe Lucio Dalla. SEI UN MITO «Sei un mito, sei un mito per me / Sono anni che ti vedo così irraggiungibile / Sei un mito, sei un mito perché / Tu per tutti noi sei la più bella ma impossibile». Non faccio nomi ma la bellissima ragazza di cui si parla nel pezzo era innamorata del mio amico Guido, che la rifiutò. E questa è Storia. Non risultò turbata dall’essere immortalata in un singolo, anzi credo che non l’abbia capito fino a quando non le è stato detto. La canzone però lascia intendere che sia successo qualcosa tra la ragazza e Max. Spiace ma il dubbio è lecito. JOLLY BLUE «La sala giochi / che per noi era un non so cosa / forse una seconda casa» Il Jolly Blue era una sala giochi nei pressi della stazione ferroviaria. Nel brano, si ricordano i tanti eventi traumatici o divertenti di una giovinezza in provincia, a partire dalle agghiaccianti domeniche pomeriggio in discoteca e a finire con «il 125», la moto, sfoggiato in centro. Jolly Blu (senza la e) è il titolo di un film in cui gli 883, con un concerto di beneficenza, salvano il bar dove si riunisce la loro compagnia di amici. Saturnino, bassista di Jovanotti, è tra le guest star. CON UN DECA «Ne parlavamo tanto, tanti anni fa / Di quanto è paranoica questa città / Della sua gente delle sue manie / Due discoteche, centosei farmacie». Ecco, le due discoteche ovvero il Matisse e il Docking. All’epoca degli 883, il Docking era in fase calante e ci si andava, prevalentemente, dopo la chiusura del Matisse. Quest’ultimo era il locale degli universitari, che si pregiava di avere DJ Porcellone alla console. Era un luogo all’avanguardia nella tutela dei diritti delle donne, ricordo infatti la mia futura moglie, tra gli applausi, inseguire e abbattere con un calcio nel sedere un tipo che aveva provato un approccio con palpata. Il Matisse, colpo di scena, prima aveva un altro nome, dai che lo avete già capito: era il Celebrità, dove si esibiva la cubista cantata da Max in La ragazza del Celebrità. E le centosei farmacie? Non mi pare che i pavesi fossero più ansiosi della media. Tutto sommato, Pavia era un posto abbastanza divertente e vicino a Milano. C’era un locale, che non mi pare venga mai citato dagli 883, Spaziomusica, dove si ascoltava della bella musica dal vivo, venivano a fare le prove le band di Vasco o di Guccini o di De André. Una volta, all’ingresso, mi capitò di sbattere contro un signore con: parrucca di capelli lunghi, baffi posticci, giubbotto di pelle senza maniche, torso nudo, pantaloni neri e stivali da cowboy. «Piacere – mi disse – Joe Sarnataro, bluesman, suono qui». Era un «irriconoscibile» Edoardo Bennato, che voleva tornare a far la musica che amava nei posti piccoli.