il Giornale, 30 settembre 2023
Intervista ad Antonio Rezza
È successo per caso che Antonio Rezza si fermasse tutte queste sere sul palco di Extralishow – Una storia punk ai confini della balera al teatro Menotti di Milano con gli Extraliscio, Davide Toffolo e Leo Mantovani. «All’inizio si pensava di fare una sola canzone insieme ma poi ci siamo detti perché solo una? ed eccoci qui». Risultato: tante serate, l’ultima stasera, ma c’è uno spettacolo pomeridiano anche domani domenica 1 ottobre alle 16.30. «Conosco gli Extraliscio ed Elisabetta Sgarbi da quando ci siamo incontrati alla Mostra del Cinema di Venezia, sono persone con cui si ironizza molto». E si crea, anche. Non a caso questa «liasion dangereuse» ha forse liberato un altro lato del talento di Rezza, quello musicale. Aveva già collaborato con Extraliscio nel singolo Gira Gira Gira Gi e adesso sul palco interpreta tre brani inediti (Vita ultraterrena, La macchina e Ave Maria) però ne ha pronti altri al punto che, quasi quasi, c’è un disco all’orizzonte. Sarebbe l’ennesimo passo avanti di un artista indefinibile, nato a Novara nel 1965 ma cresciuto vicino a Roma, che con Flavia Mastrella ha costruito in teatro e anche in tv o al cinema un’identità inimitabile. Sulla scia di altri matta-attori del passato, Rezza è riconoscibile ma non abbastanza riconosciuto, nonostante un Leone d’Oro (teatrale) vinto a Venezia. Da Barba e cravatta così grondante mimica e intuizioni, fino alle performance con gli Afterhours, Antonio Rezza è un unicum che aspetta soltanto di sfiorare il mondo del pop, quello sfiorabile e di gran lunga popolare, che passa per la musica leggera. Intanto qui al prestigioso Menotti fa una prova generale di matta-attore che diventa (anche) canta-attore. Qual è la differenza? «Se vogliamo parlare del lato tecnico, la differenza principale è nell’utilizzo del fiato. Se sbagli come attore, quasi sempre puoi metterci una toppa. Se lo fai come cantante, metti in difficoltà anche gli altri musicisti e difficilmente recuperi». Ma no, parliamo di emozione. «Allora la differenza è che prima non avevo mai cantato così sul palco». Quindi è una invasione di campo? «Assolutamente no, lo escludo totalmente». Però ascolta la nuova musica vero? «Purtroppo sì». Perché? «È tutto così strillato, così esagerato. Non mi piace ciò che sento in giro». Beh una questione di gusti. «No, è una questione di sensibilità. La mia sensazione è che quasi tutti i nuovi cantanti scavalchino le proprie opere con se stessi. E se l’autore supera l’opera, vuol dire che l’opera non vale molto». Fuori i nomi. «È una scena generale, i nomi li sappiamo tutti». Qual è il vero limite della musica che «gira intorno»? «Mi sembra tutta uguale, tutta conforme. Posso fare un esempio tratto dal calcio?». Prego. «Guardi come si esulta nel calcio dopo aver segnato un gol. Tutti i bomber cercano un modo personale per esultare. Ma la diversità a tutti i costi è omologazione. Preferivo di gran lunga quando chi aveva fatto un gol esultava come tutti gli altri». Insomma. «Insomma nella musica mi pare di vedere un’ostentazione del coattume». Eccezioni? «Caparezza e Frankie Hi Nrg sono quelli che mi vengono in mente per primi perché sono unici e riconoscibili». Spesso si cerca l’originalità attraverso i social. «I social falsificano, lo sappiamo». Rezza, ora tocca a lei. «Cosa?». Scendere in campo. Magari al Festival di Sanremo. «L’idea mi piace. Ma a patto che non mi tolgano il Leone d’Oro di Venezia» (sorride – ndr) Ma di certo no. «Allora ci andrei con un brano mio, non riesco certo a cantare quelli degli altri». Magari in coppia con Flavia Mastrella. «Lei non riuscirebbe mai a fare musica, lei segue altre cose, ad esempio il fenomeno della realtà aumentata». Però oggi vanno di moda i duo, i duetti, i feat. «Allora vado con uno che mi regga la sacchetta del catetere». (ride – ndr) Lo sa che questa è una battuta politicamente scorretta? «Disprezzo profondamente il politicamente corretto. La presa in giro dovrebbe essere un diritto costituzionale. La presa in giro talvolta restituisce o aumenta la dignità. Ad esempio, mio figlio mi fa vedere il cartoon Griffin, che è impietoso contro le minoranze». Mi costringe a chiederle dello spot Esselunga. «Esselunga fa i miliardi con questo spot. Che io non ho visto. Ma vedo critiche di neocapitalisti travestiti da progressisti». Ah quindi è politicamente schierato? «Non voto dal 1999 e non credo al potere. Non credo che ci possa essere un potere giusto e non capisco chi ci crede». Vabbè torniamo a Sanremo. «Lo farei non per ambizione ma per divertirmi». Sicuro che a Sanremo ci si diverta? Poi ci siamo noi giornalisti a fare domande su tutto. «Beh più la domanda è stupida più la risposta ha il dovere di essere intelligente». Ha un rimpianto? «Non essere andato via da un paese che non valorizza e riconosce il talento. Se David Lynch fosse italiano, avrebbe avuto più difficoltà a farsi conoscere». L’altro giorno Gabriel Vacis ha detto al Giornale che i giovani si avvicinano sempre più al teatro. «Ecco perché Vacis non mi rispondeva al telefono, forse perché non ero abbastanza giovane». (ride – ndr) Ma è vero o no? «Sì i giovani riscoprono il teatro. Ma è sbagliato che chiunque abbia visibilità televisiva tolga spazio ai giovani teatranti. Così si porta la tv a teatro ma si fa un danno a chi cerca spazio».