La Stampa, 1 ottobre 2023
I tecnici dei presidenti
Ci risiamo. Puntuale come lo sbiadire delle foglie, a un anno esatto di vita del governo Meloni, spunta il complotto. Voci, sospetti, calendari compulsati, nomi di futuri primi ministri in pectore ( ma già in competizione fra loro). Rieccoci qui, si. Effetto paese dei campanelli.La sindrome che ha ucciso gli ultimi sette governi, prima di questo in carica, si è ripresentata fra noi nel quadrilatero del potere romano. Ma non era questo il” primo governo eletto dal popolo” dopo una deriva di dieci anni di governi manovrati dalle élite? La Premier del “dureremo cinque anni, anzi dieci” dell’altro ieri, aprendo la prima pagina di questa testata ieri e leggendo l’articolo della vicedirettrice Annalisa Cuzzocrea, invece di smentire, come fa di solito, ha confermato di corsa che ci sono manovre in corso contro il suo governo. Un tentativo di complotto. Da parte della sinistra ovviamente, ma per fortuna nostra e del paese ci informa che no pasaran. Chigi come la Casa Rosada.Scenario preoccupante, che sdogana un cinismo istituzionale: l’idea che dopo un certo numero di mesi un governo eletto – con una chiara maggioranza – possa essere rimaneggiato, ribaltato, cambiato, senza passare per voto o crisi parlamentari. Sembra essere diventato in Italia un evento normale. Come se gli intrighi fossero solo un altro strumento della politica.È una dimensione etica che non si può accettare. Ma è soprattutto una dimensione di incertezza in cui non si può davvero governare. Vogliamo togliere dal tavolo scuse, giustificazioni e auto-assoluzioni, e finalmente parlarne?Cominciamo dalle torce. Quelle (metaforiche) che hanno accompagnato nel suo ultimo saluto la scorsa settimana il Presidente Napolitano, in una atmosfera di debole unanimismo. E se sul Presidente come persona e come garante della nostra repubblica credo non ci siano dubbi, le distanze di valutazione della sua opera rimangono profonde. Anche dentro gli stessi schieramenti. Eppure di queste scelte ormai si sa tutto – i dieci anni che iniziano nel 2011 sono stati ampiamente studiati da una schiera di politologi e costituzionalisti. Dunque oggi se ne può parlare con una quasi sicura conoscenza.La polemica più significativa in cui si è congelato lo scontro intorno a Napolitano, è, curiosamente, quella meno rilevante, e provata tale: il cosiddetto golpe contro Silvio Berlusconi con conseguente scelta di Mario Monti. Oggi è parere quasi unanime che la scelta, nelle circostanze date, fu chiara e giustificata.La situazione italiana era molto deteriorata ed era necessario decidere velocemente interventi lacrime e sangue ( come avvenne con le pensioni) che solo i tecnici potevano gestire senza poi pagarne il costo politico.Nelle ricostruzioni proposte da libri e studi, emerge con chiarezza da testimonianze dirette che le forze politiche preferirono infatti pagare il prezzo di un governo tecnico piuttosto che pagare loro il prezzo con gli elettori. Il Pd abbozza, e lo stesso Berlusconi, che pure stacca la spina per primo al governo Monti, chiede al Premier di guidare lui una coalizione di destra alle urne. Proposta rifiutata da Monti. Queste cose sono uscite e non sono mai state smentite. L’accusa di golpe si rivela solo una narrazione funzionale a quello che ora stiamo sperimentando: una destra che si racconta come la parte politica emarginata, la parte che ha subito torti, la vittima predestinata di Europa e sinistra.Il più forte intervento sul tessuto delle scelte politiche delle istituzioni, Napolitano lo fa dopo le elezioni generali del 2013. Quelle vinte di strettissima misura numerica e politica da Bersani.Il risultato elettorale si presenta al Presidente della Repubblica come una sfida estrema: i pentastellati, fino a quel momento considerati la forza populista e antisistema da fermare, ottiene dal nulla il 25 per cento, esattamente come il Pd e Forza Italia. Il duopolio è diventato un triangolo.Per Napolitano è una minaccia alla stabilità del paese. E per tale stabilità non ha esitazione a prendere misure draconiane. Ed è tutto scritto per altro, e detto, nei suoi interventi.Napolitano parte dall’idea che il bipolarismo puro e la competizione fra sinistra e Berlusconi abbia prodotto un radicalizzarsi e impoverirsi della dialettica politica. Il suo timore è che Bersani voglia (come infatti vuole) provare a fare un’alleanza a sinistra con i 5Stelle. Alleanza nella quale ( vedasi il disastro dell’incontro in streaming fra delegazioni) il Pd non sarebbe nemmeno in posizione di controllo.L’ idea del Quirinale è piuttosto di gestire l’uscita da Berlusconismo con una larga coalizione alla tedesca, come veicolo di maggiore stabilità grazie alla creazione di un luogo obbligatoriamente meno ideologico (da qui anche il favore per figure tecniche vere e proprie). L’idea è chiara, ma la sua applicazione è molto dolorosa. Specie a Sinistra. A Bersani non viene dato un vero mandato, l’arrivo del momento dell’ elezione del Presidente della Repubblica complica ulteriormente le cose: facendo precipitare nel caos il tentativo di creare una candidatura unitaria del pd per un nuovo Presidente. Ne sono vittime Franco Marini prima e Romano Prodi poi (ricordate i 101?). E lì si sente forte l’assenza di una guida al Quirinale.Il tempo per eleggere il Presidente scorre ed eventualmente Napolitano sarà ri-eletto. Nonostante il rabbioso discorso in aula contro l’ impotenza del parlamento che ha costretto a questa rielezione, un’ombra rimane sul voto. La rielezione c’è e fa testo. Anche il suo successore, Sergio Mattarella sarà rieletto. Enrico Letta sarà scelto al posto di Bersani, di cui è il vice. Letta vuole fare le riforme e accetta la sfida di formare una coalizione con Berlusconi. Giura il 28 aprile del 2013, ma il 13 maggio da Milano arriva la richiesta di condanna per Berlusconi, per favoreggiamento della prostituzione minorile. Da quel momento, nulla poteva più funzionare senza dare a Berlusconi la grazia. Che non arrivò. La relazione fra Letta e Napolitano è molto profonda e la rottura tra loro avviene con ogni cura possibile, ma ugualmente è travolgente. Napolitano porta a capo del governo Matteo Renzi che aveva vinto le primarie l’8 dicembre del 2013. Si racconta che il Presidente fosse stato colpito dalla capacità del nuovo protagonista di vincere consensi fuori dal partito.Il passaggio è esemplare. Renzi è sindaco di Firenze, molto popolare anche fuori della sinistra e portavoce di riforme, come il Jobs Act e le riforme costituzionali, che rappresentano per Napolitano un passo avanti verso una forza democratica moderna.Dal palazzo del Comune di Firenze a Palazzo Chigi, è un bel salto, che bypassa l’importanza del voto nelle elezioni generali.Napolitano non sarà lì quando finisce l’esperienza Renzi, che è il politico che costruisce la elezione nel 2015 di Mattarella, mite siciliano, inappuntabile uomo delle istituzioni e tuttavia anche lui sarà rieletto alla fine del suo settennato. Un’altra regola che passa da eccezione a norma.Dopo Renzi va a Palazzo Chigi Paolo Gentiloni, con il consenso di Renzi, che immagina di poter ottenere attraverso lui elezioni il più anticipate possibili. Cosa che Mattarella non permetterà. Nel 2018 si vota per le politiche. In fondo, le strade irregolari scelte da Napolitano potrebbero concludersi qui. Sarebbero stati percorsi dopotutto brevi, anche se un po’ non tradizionali. Se non fosse per lo spirito del tempo, che decisamente sembra essersi insediato a questo punto, al vertice delle istituzioni.I politici sembrano aver gradito la “libertà” di scelte usata da Napolitano, e le mettono in pratica. Questa volta però – attenzione- lo fa la destra.Nel 2018 vincono la Lega e M5s. La sinistra non può o non vuole ( ci sono entrambe le anime dentro il Pd) allearsi con il M5s che d’altra parte, guidato da Luigi Di Maio, guarda con molta più simpatia all’impeto antisistema di Salvini. L’accordo fra i due c’è da subito, ma la decisione su chi dei due fa il Premier non è facile.E a quel punto, forse ispirati dai precedenti, trovano una soluzione nuovissima: stilano un contratto di governo, sul modello tedesco, e poi chiamano un avvocato a Palazzo Chigi che, in quanto avvocato, potrà fare il garante del contratto. Nasce il premier avvocato del popolo. Nulla nella costituzione prefigura tale procedimento. È l’avvocato Conte, che poi continuerà il suo mandato di Premier con un secondo governo, ma in coalizione con la sinistra. Come si vede, le formule sono sempre più creative.Poi arriva Mario Draghi, nel febbraio del 2021, un altro tecnico puro come all’inizio del decennio. Si dimetterà il 21 luglio 2022. Alle elezioni generali vince il partito della destra estrema, l’unico che ha sempre denunciato gli intrighi di governo ed ha sempre attaccato i premier scelti dal Palazzo e i due Presidenti che li hanno proposti.Cosa è successo dunque in questo decennio? I costituzionalisti sono certi: non c’è stata mai rottura delle regole costituzionali: «Non c’è scritto da nessuna parte che i Premier debbano essere eletti in Parlamento, e di tecnici l’Italia ne ha nominati vari. L’importante è che i presidenti del consiglio vengano votati dal Parlamento», dice il professor Sabino Cassese. Eppure è difficile non vedere un percorso occasionale e accidentato nel percorso politico. I partiti sono diventati sempre più comitati elettorali, le linee di identità si sono ristrette allo stare al Governo in nome della responsabilità, e i governi stessi si sono indeboliti in una sorta di chiusura dentro i confini di Palazzo Chigi.Dodici anni dopo il 2011, il consenso fra cittadini e politica si è fatto evanescente. Al punto che persino per l’attuale governo Meloni, nato dalla protesta contro il sistema, il consenso diventa difficile da mantenere.Staiyng Alive sembra essere il motto che segna questa epoca.