La Stampa, 1 ottobre 2023
La paura del debito
La riduzione del debito pubblico italiano, 2.859 miliardi di euro, è stata dimenticata. E sarà così fino al 2026, salvo sorprese. Nell’ultima Nadef il governo rinvia il consolidamento fiscale. Un fattore che, nel breve termine, può sembrare irrilevante, ma che potrebbe esplodere entro la fine del decennio. Del resto, il rapporto fra debito e Pil doveva essere su una traiettoria discendente. Invece sarà costante, intorno al 137%: a preoccupare sono anche gli interessi passivi sul debito stesso, in netto incremento. A tal punto che quota 100 miliardi di euro l’anno sarà presto superata. «Non è ancora uno scenario analogo all’autunno del 2011, ma poco ci manca», ammette un banchiere di lungo corso.La situazione correnteChe la coperta fosse corta era noto. Ragion per cui il ministro Giorgetti, a più riprese, ha ribadito ai colleghi che la legge di Bilancio sarebbe stata orientata al risparmio. Nelle 138 pagine della Nadef redatta dai tecnici del Mef si fa il punto su un’economia che sta incontrando il risveglio da un sogno chiamato Superbonus. Il cui lascito è da «far venire il mal di pancia», ha ammesso il ministro al Forum Ambrosetti a inizio settembre. Cionondimeno, «il governo conferma la propria determinazione a perseguire una graduale, ma significativa, discesa dell’indebitamento netto della Pa e un ritorno del rapporto debito/Pil al di sotto del livello precrisi pandemica entro la fine del decennio». Ed è proprio quest’ultimo aspetto, «entro la fine del decennio», che ha creato più di un grattacapo nella comunità finanziaria.I prossimi anniIl 2024 sarà determinante per capire la direzione che vuole prendere il Paese. Primo, perché salvo sorprese sarà approvato il nuovo Patto di Stabilità Ue. Che sarà rinnovato con maggiore flessibilità, ma difficilmente allentato sulle regole di bilancio di base. Secondo, perché la contrazione prevista dall’Italia è ridotta ai minimi termini. Lo si nota nel quadro programmatico di finanza pubblica, in netto deterioramento. Per l’anno in corso si prevede un rapporto debito/Pil del 137,4%, per il prossimo anno del 137,5%, per il 2025 del 137,4% e per il 2026 del 137,2 per cento. Il tutto al netto dei sostegni governativi. Sono questi i numeri che preoccupano di più gli investitori istituzionali, da un lato, e i policymaker europei, dall’altro. Ne deriva che, si scrive nella Nadef, «nel 2024 e 2025, il rapporto debito/Pil calerà lievemente, fino al 139,9 per cento (al lordo dei sostegni, ndr), anche grazie ad un parziale utilizzo delle disponibilità liquide del Tesoro e all’avvio di un piano di dismissioni di partecipazioni dello Stato». Nello specifico, «sul rallentamento del ritmo di discesa pesano sia i diversi fattori che influenzano gli andamenti di finanza pubblica a legislazione vigente già descritti, sia l’impatto sul saldo primario del 2024 e del 2025 derivante dalla prossima manovra di finanza pubblica». In altre parole, le prossime due leggi di Bilancio nascono già con un deficit implicito che riduce lo spazio fiscale.Il nodo interessiIl tasso del Btp decennale è a quota 4,78% alla chiusura di venerdì scorso. Lo scorso 19 gennaio era al 3,77 per cento. Ma avrà un impatto, almeno dal punto di vista contabile, ridotto rispetto alle attese. Così il Tesoro: «Il recente aggiornamento delle stime di consuntivo dell’Istat ha rivisto al rialzo il livello del Pil nominale di 34,7 miliardi nel 2021 e 37,3 miliardi nel 2022». Di conseguenza, «le stime di preconsuntivo degli interessi passivi sono riviste in chiave migliorativa di circa un decimo di punto di Pil in entrambi gli anni del biennio 2021-2022 rispetto ad aprile». Tradotto ai minimi termini, la spesa per interessi passivi sul debito è vista «scendere al 3,8 per cento nel 2023 e quindi tornare a salire fino al 4,6 per cento nel 2026». Fino a superare quota 100 miliardi.Gli investitori«Non deve stupire che ci sia scetticismo su questi numeri. È vero che la situazione è comune in diversi Paesi europei, ma preoccupa la crescente incertezza sulle mosse dell’esecutivo». Fanno notare gli esperti di Morgan Stanley, Citi e Jefferies. I quali si aspettano un differenziale tra Btp e Bund a quota 210 punti base nel primo trimestre del prossimo anno. Facile, invece, che ci possa essere una spirale analoga come fu quella del 2011. «Non è un bel segnale quello fornito dal Tesoro, perché è vero che si tratta di una Nadef prudente, ma è anche molto ottimista», rimarca un analista di J.P. Morgan che dietro esplicita richiesta di anonimato dice: «Sul fronte del debito, si pensa che il Pnrr possa contribuire a una maggiore crescita, ma gli esempi visti finora vanno nella direzione opposta».L’autarchiaA peggiorare l’umore degli investitori internazionali è la scelta di ricorrere al mercato dei titoli di Stato andando a cercare di autarchizzare il debito italiano. Ultimo esempio? Il Btp Valore, che va in emissione domani: «Può superare i 20 miliardi di slancio, ma a che prezzo per lo Stato italiano?», evidenzia un gestore di hedge fund londinese che poi spiega: «Il problema è che non si può pensare di piazzare titoli sul mercato retail solo per finanziare i costi dello Stato». E fa riflettere anche la scelta del Tesoro di aumentare, unico Paese dell’Eurozona, le emissioni nel quarto trimestre dell’anno. Da 320 miliardi a 333 miliardi: «Non è un bel segnale, perché significa maggiore incertezza, più vulnerabilità, meno risorse per la crescita», afferma il finanziere britannico.I mercatiVero, lo spread fra Btp e Bund è più sottile di un anno fa, come ribadiscono i colonnelli del governo. Ma è altrettanto vero che ciò che conta è a che tasso il Tesoro va sul mercato dei titoli di Stato. Per i Btp siamo ai massimi dal 2012. Certo, incide il maxi rialzo dei tassi da parte della Bce (450 punti da luglio 2022 a oggi), ma come rimarcato da Bridgewater, «sta tornando il rischio-Paese». Ed è proprio quello che stanno considerando anche le agenzie di rating. Venerdì 20 ottobre inizierà S&P Global, che dovrebbe rivedere al ribasso l’outlook, da stabile a negativo. Poi, il 10 novembre, sarà la volta di Fitch, che potrebbe optare per una mossa simile. Sette giorni dopo, il 17 novembre, toccherà a Moody’s dopo la «pausa di riflessione» dello scorso 19 maggio. L’outlook è negativo, il rating è a un passo dal livello “junk” (spazzatura, ndr). Qualora ci fosse un declassamento, le similitudini con il 2011 sarebbero sempre di più. —