La Stampa, 30 settembre 2023
Intervista a Fabrizio Bentivoglio
«I cinecomic non li ho mai seguiti. Qualche supereroe lo leggevo da ragazzo, ma oggi dei loro universi cinematografici non so nulla. Ci sono cose che nascono su carta e secondo me lì devono rimanere». Poi c’è la radio, dove il corpo dell’attore svanisce, la computer grafica non serve. C’è solo la voce. Quando Audible gli ha proposto il podcast Marvel’s Wastelanders: Hawkeye, Fabrizio Bentivoglio ha subito detto sì. E tra i vari impegni teatrali e cinematografici (lo abbiamo appena visto nei panni di Casanova per Salvatores, ora è sul set di Eterno visionario di Michele Placido, nei panni di Luigi Pirandello), si è ritrovato a impersonare il supereroe Marvel Occhio di Falco. «È comunque un personaggio molto diverso da come lo ricordano i lettori – racconta Bentivoglio – siamo in un futuro alternativo e lui è ridotto a essere l’ombra di sé stesso: mi ricorda molto quel Tarzan vecchio che voleva fare Fellini con Mastroianni. È tipo Buffalo Bill, è finito in un circo a fare il pagliaccio e medita vendetta perché i suoi compagni sono stati sterminati. L’arrivo di sua figlia è un’altra delle ragioni che me l’ha reso simpatico e più vicino. Ho una figlia più o meno di quell’età e succede spesso che queste ragazze siano più sagge dei padri. Capire delle cose attraverso lei mi è sembrato interessante».
Conosceva il personaggio?
«No. Ho accettato per curiosità, come spesso mi accade. Mi sono subito informato con mio figlio Matteo di 11 anni e ho scoperto che lui adora Occhio di Falco. Non ho avuto molto margine di scelta, lui mi ha solo guardato e mi ha detto: “Papà, questo lo devi fare"».
Quali sono stati i fumetti della sua adolescenza?
«Qualche Thor, Uomo Ragno, supereroi vari. Poi Tex, Corto Maltese. E Diabolik, l’unico albo che abbia mai collezionato. Avevo la primissima annata completa, purtroppo nei vari traslochi è andata persa».
Eppure non concepisce l’idea che da un fumetto si possa trarre un film.
«Prendiamo Corto Maltese. È irriproducibile al cinema, se non perdendo buona parte della sua intensità. La forza del disegno di Pratt non è ciò che l’autore mette, ma ciò che omette. Come fai a recuperare l’evanescenza di quel tratto? È come si potrebbe mai fare un film da Jacovitti? I fumetti vanno lasciati lì dove sono».
Che esperienza è stata registrare il suo primo podcast?
«La lettura ad alta voce non mi coglie impreparato, avevo già interpretato diversi audiolibri. Ora sto portando in giro per i teatri Lettura clandestina: La solitudine del satiro di Ennio Flaiano, insieme al contrabbassista degli Avion Travel Ferruccio Spinetti. A Hawkeye mi sono avvicinato da absolute beginner, per quanto agée, con la curiosità tipica di quando si fanno cose nuove. Credo che quella freschezza sappia raggiungere l’ascoltatore».
Che cosa ne pensa della protesta dei suoi colleghi americani, che prosegue anche dopo la fine dello sciopero?
«Mi pare sacrosanta. Non è possibile lasciare agli studios la libertà di ricreare un attore con l’intelligenza artificiale, morto o vivo che sia. O che la tua immagine possa essere copiata e incollata in qualsiasi altro film, senza che nessuno debba versarti nulla. Lo capirebbe anche un bambino che le cose non possono funzionare così».
È un problema solo americano?
«Là il cinema è un’industria vera, con in ballo interessi enormi, dunque è inevitabile che certe istanze si manifestino prima da loro. Anche da noi però la figura dell’attore è bistrattata da sempre, tra un contratto nazionale di categoria che risale all’anteguerra e le piattaforme streaming che non comunicano i dati d’ascolto, rendendo impossibile la ripartizione di royalty e diritti vari».
Arriveremo al paradosso di un cinema senza attori?
«La direzione è quella. Già oggi l’industria ci considera alla stregua di quei clown che ti intrattengono ai semafori, lanciando in aria anelli e clavette». —