la Repubblica, 30 settembre 2023
Reportage dal Nagorno
Un’interminabile fila di macchine sovraffollate avanza lentamente lungo la strada che dal corridoio di Lachin conduce verso la città di Goris. Sui tetti sono legati grossi sacchi o valigie contenenti gli averi che i proprietari hanno impacchettato in fretta e furia prima della fuga. All’orizzonte dietro di loro si alzano le vette del Nagorno Karabakh, la regione montuosa da decenni contesa tra Armenia e Azerbaigian e fino a pochi giorni fa abitata da 120mila armeni che ora stanno scappando in massa: in meno di una settimana – questa l’ultima stima riferita ieri dalle autorità armene -hanno già attraversato il confine 98 mila persone.Riconosciuto internazionalmente come parte dell’Azerbaijan, questo territorio è stato amministrato dai primi anni Novanta dall’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh, uno Stato non riconosciuto, legato alla confinante Armenia ed espressione della locale popolazione armena. Nel corso degli ultimi anni, però, l’Azerbaijan ha lanciato una serie di attacchi attraverso i quali ha conquistato la regione.L’ultimo è avvenuto il 19 settembre, quando in poco più diun giorno le truppe azere hanno costretto l’Artsakh alla capitolazione e infine allo scioglimento, annunciato il 28 settembre. Mentre in queste ore i soldati azeri stanno prendendo definitivamente il controllo di tutta la regione, i suoi abitanti armeni si stanno precipitosamente spostando verso l’Armenia.«Non potremo mai vivere insieme a loro», urla infervorata un’anziana signora in fuga: «Un tempo vivevo in Azerbaijan, dove avevo parecchi amici. Ma adesso tutto è cambiato». Questa donna fu vittima del pogrom di Baku, la capitale dell’Azerbaijan, dove alla fine degli anni Ottanta 130 armeni vennero massacrati e tutti gli altri, circa 500mila, costretti alla fuga. Molti di loro ripararono nel Nagorno Karabakh, abitato ai tempi sia da armeni che da azeri, tra i quali poco tempo dopo scoppiarono scontri armati che si conclusero con la vittoria armena e l’espulsione di 800mila azeri. Si trattò di unmassiccio scambio di popolazioni che in queste ore si sta ripetendo. Le città e i villaggi del Nagorno Karabakh che gli armeni stanno lasciando verranno presto ripopolati dagli azeri. Ci si attende che nell’arco di pochi giorni la presenza armena in questa regione sarà quasi del tutto azzerata.Kornidzor è l’ultimo villaggiodell’Armenia prima del Nagorno Karabakh. Da qui si vede nitidamente il corridoio di Lachin che, incastonato tra le montagne, è stato a lungo l’unico passaggio terrestre percorribile che portava all’Artsakh. E si vedono i villaggi armeni ormai deserti. Da qui passa oggi l’esodo degli armeni in fuga: uomini, donne, bambini, molti dei quali viaggiano stipati su van o auto sovraccariche. Entrano in Armenia stremati dove vengono immediatamente assistiti dalla Croce Rossa e da altre organizzazioni umanitarie che li accolgono in grosse tende situate sul lato della strada. Ricevono acqua, cibo, assistenza medica e altri beni di prima necessità. Alcuni, soprattutto anziani, vengono ricoverati d’urgenza e caricati su ambulanze ch e sfrecciano verso gli ospedali più vicini.«Sono provati non solo dal viaggio», racconta Muriel Talin Clark, volontaria della Croce Rossa, «ma anche dalle terribili condizioni in cui hanno vissuto negli ultimi nove mesi».Dal dicembre del 2022, infatti, l’Azerbaijan aveva bloccato il corridoio di Lachin, impedendo l’ingresso di cibo e medicinali, oltre che delle persone. «Abbiamo anziani con valori sballati, bambini con problemi di malnutrizione, donne incinte a fine gravidanza che non sembra lo siano», tanto sono smagrite. Una signora in carrozzella racconta in lacrime che il marito è morto durante la fuga, un’altra tiene la mano del coniuge moribondo assistito da due crocerossine. Alla domanda su chi ritenga responsabile di tutto ciò lei non ha dubbi: «Nikol Pashinyan! Ci ha traditi. Ci ha venduti». Il riferimento è al primo ministro armeno, accusato di non avere difeso l’Artsakh.Lasciandosi Kornidzor alle spalle, i fuggiaschi che proseguono in autonomia arrivano nella adiacente città di Goris, dove si recano presso un centro di registrazione del governo armeno. Situato in un grosso palazzo grigio, sul piazzale davanti all’ingresso si accalcano migliaia di persone: bambini che corronogiocando, anziani accasciati a terra tra mille bagagli, capannelli di uomini che discutono spesso cercando informazioni su parenti e amici dispersi. All’interno, lunghe file di persone attendono il proprio turno per essere ricevute agli sportelli. Mostrando il passaporto vengono registrate come rifugiati da parte del governo che propone loro l’inserimento in programmi di assistenza umanitaria e la concessione di un alloggio. Chi accetta viene fatto salire su autobus e condotto verso la sua nuova casa. Chi non vuole, invece, prosegue autonomamente, spesso per andare ospite di parenti o amici. La maggior parte dice di non avere casa e di non sapere cosa aspettarsi dal futuro.Le autorità dell’Azerbaijan hanno annunciato che permetteranno il ritorno degli sfollati, purché questi diventino cittadini azeri ed accettino le condizioni poste da Baku. Ad oggi è impossibile prevedere se e quanti faranno ritorno, molto dipenderà dalle condizioni di vita che troveranno in Armenia. Nonostante il massiccio utilizzo di risorse per l’accoglienza. L’impatto dell’arrivo di 120mila persone all’interno di una Paese con 3 milioni di abitanti non sarà certamente leggero. Oltretutto l’Armenia vive una crisi politica senza precedenti. Nei prossimi giorni sono attese nella capitale Erevan grandi manifestazioni per chiedere la testadi Pashinyan, accusato di avere tradito l’Artsakh. Nonostante la popolarità del primo ministro sia ai minimi storici, lo è anche quella delle opposizioni. Le quali provano ora a risalire la china assumendo toni sempre più radicali, e invocando la necessità di rovesciare il governo. Il futuro dell’Armenia e degli armeni, oggi, è più incerto che mai.