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 2023  ottobre 01 Domenica calendario

Quei quattromila bambini italiani finiti nei brefotrofi americani tra il 1950 e il 1970


NEW YORK Quasi 4 mila. Caricati, ancora in fasce o più grandicelli, a volte anche adolescenti, sui primi voli di linea transatlantici da Roma Ciampino a New York su aerei con motori a pistoni: venti ore per arrivare a destinazione, dopo due scali. Dal 1950 alla fine degli anni Sessanta questi bimbi – in teoria orfani di guerra, in realtà soprattutto figli illegittimi o abbandonati finiti nei brefotrofi, a volte sottratti alle madri con l’inganno – furono trasferiti, sulla base di un programma gestito dal Vaticano e poi replicato da un paio di organizzazioni private, a famiglie cattoliche americane desiderose di adottare.Avventure non prive di aspetti curiosi: in volo i ragazzi erano accompagnati da una suora ma il cambio dei pannolini dei neonati era affidato alle hostess mentre il pilota era il loro tutore legale in volo e dopo l’atterraggio, fino alla consegna alle famiglie. Cosa che creava inconvenienti e ritardi. L’organismo della Chiesa statunitense che gestiva il programma decise di ovviare affittando una suite del Chelsea Hotel, albergo vicino ai suoi uffici di New York, dove tenere i giovani fino all’arrivo delle famiglie. Così i bambini trasferiti nel Nuovo Mondo per smettere di essere «figli del peccato» e acquistare una nuova purezza transitarono da un albergo famoso per la sua clientela bohémienne dai costumi dissoluti: vivranno qui rockstar come Jimi Hendrix, Lou Reed, Bob Dylan, i Sex Pistols. Lo scrittore Dylan Thomas finì in un coma etilico che lo portò alla morte in una camera non lontana dalla suite vaticana.
Ma la realtà visibile al pubblico era ben diversa: ragazzi senza genitori strappati alla miseria italiana del Dopoguerra e consegnati a famiglie benestanti in cittadine degli Usa che li accoglievano con feste, radiocronache del loro arrivo e articoli di giornale. Storie a lieto fine che a volte nascondevano un’altra realtà: l’avventura americana trasformata in odissea alla ricerca, spesso infruttuosa, dei genitori naturali in Italia. Soprattutto madri che, fuggiti i padri e ripudiate dalle loro famiglie, vagavano per l’Italia con il loro «figlio della vergogna».
Storie dolorose di un’Italia impoverita dalla guerra nella quale i divieti, non solo di aborto ma anche di contraccezione e lo stigma del concepimento fuori dal matrimonio, spingevano molte madri ad abbandonare i neonati senza riconoscerli. Ma molte cercavano di tenerli e, se non ce la facevano, li lasciavano in un brefotrofio o li davano in affidamento, convinte di poterli riavere in tempi migliori. Poi, però, spesso per ignoranza, firmavano documenti di rinuncia irrevocabile che spezzavano ogni rapporto coi figli, resi irrintracciabili. Ragazzi che, una volta cresciuti e appreso di essere stati adottati, hanno tentato di rintracciare i genitori naturali sbattendo contro leggi che, fino a qualche anno fa, vietavano simili ricerche.
Storie dolorose vissute nel Dopoguerra da almeno 200 mila cittadini italiani. Storie note, come quella dei bimbi trasferiti in America che a un certo punto diventerà anche traffico di adozioni: nel 1961, nel film Il giudizio universale di Vittorio De Sica, Alberto Sordi è un mercante di bambini deciso a caricarne sette su una nave in partenza per gli Stati Uniti, incurante della voce che dal cielo annuncia la fine del mondo. Ma anche storie dimenticate perché dai primi anni Settanta hanno perso rilevanza: con l’evoluzione dei costumi sociali, l’educazione sessuale, la contraccezione, l’aborto, la riduzione della povertà, ecco il calo degli abbandoni e la chiusura dei brefotrofi.
Non hanno, però, dimenticato i «trovatelli» nati negli anni Cinquanta e Sessanta, come i figli del «ponte aereo» Italia-Usa che per quasi vent’anni ha riproposto, in una versione tecnologica, il meccanismo medievale della «ruota degli esposti»: la ruota sulla quale dal Tredicesimo secolo le donne che non volevano o potevano tenere un figlio, lo mettevano su una piattaforma ruotante di un istituto. Mezzo giro e da quel momento perdevano ogni contatto con lui.
Erano ancora in fasce, o più grandi, a volte adolescenti, e viaggiavano sui primi voli di linea transatlantici da Roma Ciampino a New York
Alla storia di questo ponte aereo è dedicato Il prezzo degli innocenti . Come il Vaticano ha sottratto migliaia di bambini alle loro madri, pubblicato da Longanesi e scritto da Maria Laurino: una giornalista e scrittrice americana di origine italiana che si è appassionata alla vicenda ascoltando le storie di un cugino, anche lui nato in Italia e adottato da una famiglia americana.
Con uno straordinario lavoro di giornalismo investigativo, Laurino ha ricostruito diverse di queste avventure umane parlando con genitori adottivi, figli adottati, madri naturali, persone che hanno lavorato nei brefotrofi e hanno gestito le pratiche amministrative. Esaminando, poi, l’evoluzione delle leggi americane e italiane che hanno reso possibili questi trasferimenti e le motivazioni religiose e politiche del papato di Pio XII. Aiutata, in questo, dalla conoscenza delle culture dei due Paesi, dall’essere cresciuta in una famiglia cattolica, dall’aver frequentato un’università dei gesuiti, dalla capacità di analisi politica maturata lavorando per amministrazioni democratiche e dalle tecniche giornalistiche impiegate per ricostruire con molta cura il modo in cui il Vaticano ha usato la legislazione statunitense sull’accoglienza degli orfani di guerra favorendo la sua graduale trasformazione in programma di adozioni di ragazzi privi di famiglia. Programmi offerti nel dopoguerra da Washington a 18 Paesi ma che solo l’Italia usò a piene mani.
Intento caritatevole ma basato sul presupposto della condanna etica di donne macchiate dal peccato del concepimento fuori dal matrimonio: cosa che giustificava, spesso, la crudeltà di sottrarre loro i figli con l’inganno dell’affido provvisorio dopo averle spinte a firmare una dichiarazione di «separazione irrevocabile».
Così la storia raccontata da Laurino diventa anche storia di come un misto di carità, esaltazione della verginità nell’epoca della santificazione di Maria Goretti e dell’enciclica Sacra Virginitas di Pio XII e di timore che figli abbandonati diventassero sbandati alla mercé del comunismo, portò due monsignori americani – Emil Komora a New York e Andrew Landi, trasferito nella centrale operativa italiana di via della Conciliazione, sotto la guida di Ferdinando Baldelli che aveva come supervisore monsignor Giovanni Battista Montini, il futuro Paolo VI – a sviluppare per quasi due decenni un complesso sistema di adozioni inizialmente mascherato da accoglienza di orfani di guerra.
Il viaggio di Laurino ci porta a casa di John Campitelli, che con straordinaria tenacia, dopo decenni di tentativi, riuscirà ad aggirare ostacoli e divieti e abbraccerà la madre naturale. Che lo aveva allattato nel brefotrofio e aveva anche cucito scarpine per un bimbo che non avrebbe mai più rivisto: le era stato tolto perché non era in grado di mantenerlo. John ha poi creato associazioni che ancora oggi aiutano figli adottivi ormai sessantenni a rintracciare chi li ha generati.
Gli aspetti più critici dell’attuazione di questo programma divennero evidenti con la crisi che nel 1959 rischiò di bloccare le adozioni, ormai gestite non più solo dal Vaticano ma anche dall’Iss, un’associazione creata da aristocratici e da esponenti dell’alta borghesia (Susanna Agnelli tra i sostenitori) e da Peter Giambalvo, un avvocato di Brooklyn che aveva copiato il modello delle adozioni del Vaticano trasformandolo in un vero business.Il clamore suscitato da alcuni bambini che rifiutavano di imbarcarsi a Ciampino sui voli per gli Usa e da madri che in aeroporto imploravano la restituzione dei loro figli era finito sui giornali: per un po’ il governo di Roma rallentò gli espatri mentre la procura federale statunitense denunciò un traffico illegale incriminando, però, solo Giambalvo (che non fu mai condannato) senza toccare né l’Iss né il Vaticano. Col quale, pure, Giambalvo collaborava.