Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2023  ottobre 01 Domenica calendario

I tagli che servono: 10%

Il debito pubblico sta arrivando a quota 3.000 miliardi di euro e il suo costo in interessi per lo Stato raddoppierà, a oltre cento miliardi l’anno.
Ora che c’è la Nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Nadef), diventa finalmente possibile alzare il coperchio e guardare dentro i suoi obiettivi. Sulla base dei dati e delle proiezioni del ministero dell’Economia, si può misurare cosa deve succedere e cosa implicherebbe nella realtà raggiungere i risultati che il governo si prefigge. Fra questi il più importante è proprio una sostanziale stabilizzazione del debito, almeno in proporzione alle dimensioni dell’economia italiana.
Le ragioni
La Nadef stessa mostra almeno un paio di ottime ragioni che renderebbero essenziale fermare l’ascesa del debito e poi farlo scendere. La prima è proprio nel fatto che l’anno prossimo – o al più tardi a inizio 2025 – il totale del debito delle amministrazioni pubbliche in Italia raggiungerà quota tremila miliardi. È una soglia simbolica, ma di rilevanza assoluta. C’è poi una seconda ragione per cui questa dovrebbe diventare la priorità di tutto il Paese: il costo degli interessi sul debito pubblico italiano (quasi) raddoppia da 57 miliardi di euro pagati nel 2020 a 103 miliardi del 2026. Tale aumento implica che nel 2026, quando dovrebbe concludersi il ciclo del Piano nazionale di riforma (Pnrr), lo Stato spenderà più in interessi sul debito accumulato in un passato remoto e recente, che in investimenti per il futuro; e spenderà in oneri sul debito non molto meno di quanto spende per la sanità, mentre ancora nel 2020 il bilancio sanitario era pari a più del doppio della spesa per interessi.
La Nadef presenta una strategia non per invertire, ma per fermare la direzione del debito: migliorare il saldo di bilancio dello Stato di oltre tre punti di prodotto interno lordo, al netto degli interessi. In sostanza oggi lo Stato è in deficit dell’1,5% del Pil prima ancora di pagare le cedole sui suoi titoli; nel 2026 dovrà essere in surplus dell’1,6% del Pil. E perché ciò accada si può lavorare solo sulle entrate fiscali e su tutte le spese, meno che su quelle (vincolate) per interessi. È su questi fattori che si misura la credibilità della strategia del governo per gestire questa emergenza strutturale del Paese.
Le proiezioni
Vediamo dunque le proiezioni della Nadef «a legislazione vigente», che non si discostano molto dagli interventi programmati finora. Da quest’anno al 2026 le entrate fiscali calcolate in euro al valore corrente aumentano di circa 72 miliardi, anche se calano un po’ in proporzione al Pil in virtù della crescita e delle riduzioni dei prelievi previste. Perché i conti tornino è dunque necessario che la spesa da adesso al 2026 cresca molto meno delle entrate. E almeno nelle tabelle della Nadef, lo fa: sempre senza contare gli interessi sul debito – che galoppano – la spesa per il funzionamento dello Stato, quella per far fronte alla Sanità e a tutte le altre prestazioni sociali cresce di appena 11 miliardi fino al 2026. Poiché in totale essa è di mille miliardi, in apparenza cresce appena dell’uno per cento. Nella realtà invece quello presentato dalla Nadef «a legislazione vigente» è un taglio di oltre il 10% in termini reali di tutta la spesa pubblica, perché il «deflatore dei consumi» – cioè il costo della vita – si prevede che aumenti del 12% durante lo stesso periodo. In sostanza la precondizione per stabilizzare il debito – neanche per ridurlo – è un drastico taglio in termini effettivi nel bilancio dello Stato.
La spesa
Per capire se può funzionare, bisogna guardarci dentro un po’ meglio. In questo periodo fra il 2023 e il 2026 la spesa per pensioni cresce di quasi 44 miliardi (più 13,7%), più in fretta dell’economia e più dell’inflazione, perché gli italiani invecchiano e gli adeguamenti al carovita sono automatici per legge. Tutto il resto della spesa pubblica va dunque compresso o tagliato ancora di più. Infatti nelle proiezioni della Nadef i redditi degli statali decrescono del 12% in termini reali, la spesa sanitaria decresce del 9%, e così via. Al 2026 il totale della spesa pubblica, in proporzione alle dimensioni dell’economia, dovrebbe essere nel 2026 più basso di oggi di 88 miliardi di euro. Una falcidie di proporzioni storiche.
È uno scenario credibile? Forse no, lo stress nella società e nella macchina amministrativa sarebbe troppo forte. Ma queste sono le sole proiezioni – non solo di questo governo, anche dei precedenti – che permettono di far credere, almeno sulla carta, a una stabilizzazione del debito. Troppi bonus, troppe promesse e troppi tagli delle tasse non coperti sono stati fatti negli ultimi dieci anni, da tutti, incluso l’ultimo dell’attuale governo. Ma quanti nel sistema politico siano coscienti di questa realtà è una domanda alla quale questa Nadef non può fornire risposta.